E’ un dato accertato da tempo: nel più concreto dei mondi possibili, nella società che ha fatto della materia e con la materia quello che nessuna civiltà prima si era azzardata, vi è un insospettabile interesse per il fantastico. Se trent’anni addietro la fantasy era un fenomeno confinato nelle riserve di un’editoria neanche troppo ben vista dalla cultura "ufficiale", o nelle farneticazioni figurative di qualche artista non troppo considerato, lo sviluppo tecnologico ne ha paradossalmente allargato i confini: gran parte dell’enorme mercato dei videogames on line è rappresentata da avventure nelle quali draghi, guerrieri e maghi sono protagonisti. Parallelamente, hanno conosciuto una larga diffusione i giochi di ruolo, nei quali vi e un’immersione totale in quell’universo parallelo che è caratteristica fondante del racconto fantastico. In questi "Adventure games" ogni partecipante assume il ruolo - appunto - di un particolare personaggio, determinandone le decisioni ed i comportamenti; la durata di queste "avventure" può essere addirittura pluriennale. Ne deriva un’identificazione tra giocatore e personaggio che non di rado ha portato ad imprevedibili eccessi: è il caso di individui che non sopravvivevano - fisicamente - alla morte del proprio alter-ego immaginario, togliendosi una vita che aveva perso ogni senso con la scomparsa della propria personalità fantastica. Senza arrivare a questi eccessi, è possibile constatare che tra fumetti, cartoni animati, editoria varia, la spada e la magia conoscono una diffusione davvero notevole, e la stessa fantascienza "Classica" sembra risentire di questa tendenza. La trilogia di "Guerre stellari" ne è l’esempio più eclatante: non più una proiezione futura di questo mondo, ma la creazione di un altro mondo; non più un "Accadrà domani", ma un "Tanti e tanti anni fa, in una galassia lontana, lontana...", come si apriva la prima delle tre pellicole di Lucas. E ancora, accanto al consueto armamentario di astronavi, tute spaziali e asteroidi, riecco la spada, laser o acciaio poco importa, riecco l’ordine dei cavalieri, la principessa, gli animali fantastici... Certo, può essere un fantastico di bassa lega, che puzza di plastica; un prodotto prontamente confezionato da chi interpreta pulsioni e bisogni come un mercato, fabbricato da chi è pronto a tradurre le necessità in profitto. Quello che ci interessa, però, è il dato fondamentale: esiste non solo un interesse, ma una vera e propria richiesta di tematiche legate al fantastico, alla fantasia. Fatta questa constatazione, il passo successivo ci porta a chiederci il perché di un successo tanto stridente con il panorama che lo circonda. La risposta che più di consueto viene data chiama in causa l’insoddisfazione per il presente, per la situazione che si vive. E’ una risposta che in parte può essere sottoscritta. Certo, i grandi spazi, le grandi foreste, le alte montagne di uno scenario tolkeniano sono altra cosa rispetto al quartiere residenziale periferico con il quale il nostro lettore-tipo si trova a fare i conti quotidianamente. E’ altrettanto vero che i grandi rischi, i grandi amori, le grandi battaglie, il camminare sul ciglio di profondi burroni, lo scintillio delle spade che si incrociano, sono l’antitesi di quella vita piatta, grigia, codificata e programmata che la modernità propone. O impone. Ma se solo l’insoddisfazione fosse ciò che spinge verso il fantastico, se solo la volontà di evadere - quella "Santa fuga del prigioniero" di tolkeniana memoria - fosse la causa di questa crescita del fenomeno, bisognerebbe chiedersi perché questa fuga non avviene attraverso altre vie, quali la fantascienza "canonica" o il romanzo di avventure più classico. In effetti, se è vero che il romanzo d’evasione conosce un periodo di grande fortuna, se è vero - statistiche alla mano - che il lettore sembra preferire lunghi racconti che permettono un’evasione prolungata, è altrettanto vero che il fenomeno della letteratura fantastica - almeno per quanto riguarda quel fantastico "Nobile" che può avere in Tolkien il moderno caposcuola - ha uno spessore qualitativo tutto particolare. Attorno ad esso gravitano una serie di interessi ed iniziative che rivelano una volontà di andare oltre la semplice lettura d’evasione: si va dagli appassionati di gastronomia medioevale, che organizzano banchetti nei quali pomodori e carciofi sono rigorosamente banditi, alla drammatizzazione del gioco di ruolo, elmo in testa e spada alla mano, ad iniziative meno folcloristiche ma sicuramente più ricche di contenuti, quali dibattiti, convegni, "convention". Vi è insomma una netta differenza di spessore tra la fantasy e la classica letteratura d’evasione, anche e soprattutto dal punto di vista dell’interesse e del coinvolgimento suscitati nel lettore. Cercare le fonti di quel fascino che la letteratura fantastica innegabilmente emana significa scavare attorno alle sue radici, significa cercare di individuarne l’essenza. Proviamo allora ad addentrarci in questo universo. Un racconto che si possa ascrivere a questo genere non può prescindere dal ricreare un mondo, assolutamente reale e assolutamente separato da quello, per così dire, concreto. E’ un luogo diverso, in un tempo diverso, nel quale gli scenari sono indubbiamente più affascinanti di quelli della quotidianità moderna, nel quale i fatti non hanno l’insipido sapore della "routine", dicevamo. Ma il punto fondamentale è un altro: ciò che viene creato non è semplicemente un mondo, ma un cosmo perfettamente coerente, un tutto organico dove ogni entità ha una sua funzione, un suo significato; un uni-verso, univocamente orientato verso un centro che dà senso alla creazione. Non c’è bisogno di spiegare quale sia il fascino che questo può esercitare negli anni del grande kaos. Nondimeno, il mondo proposto non conosce la moderna menomazione dell’uomo, della natura, dell’universo ad una dimensione - quella puramente materiale ; senza di contrappasso scadere mai nel basso sentimentalismo o, peggio, nella ricerca dell’infero, del subconscio, dell’istintuale. Al contrario, vengono proposte figure che - anche nell’errore, nella tragedia, nella sconfitta - rivelano i tratti freddi e lucidi dell’archetipo. Gli eroi, ma anche i locandieri, che popolano i romanzi di Tolkien, non conoscono le nevrosi moderne, lo smarrimento di chi ha perso il centro, l’angoscia del "Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo..." e via autocommiserandosi; possono vincere o perdere, forse morire, ma sanno dare a qualsiasi cosa accada un preciso significato, un valore, un senso. Manca, nella Terra di Mezzo, la disperazione di chi non sa spiegare l’esistenza propria e del mondo nel quale vive. Il "Secondary world" è un universo nel quale tutto ha valore simbolico: nei romanzi di Tolkien vi è una trasposizione di simboli e motivi epici che appartengono al ricchissimo bagaglio della tradizione occidentale, con una coerenza ed una legittimità che può avvicinare la trilogia de "Il Signore degli Anelli" alle grandi epopee della Materia di Bretagna, del Mabinogion, dell’Edda. Ma Tolkien non è solo: è da segnalare una nuova, ricca fioritura attorno al ciclo arturiano; un interesse che, accanto a prodotti commerciali e di scarso valore, ha espresso esperimenti interessanti, tra cui, per esempio, il ciclo di romanzi che portano la firma di Mary Stewart. E’ questa una rivisitazione che, pur concedendo qualcosa ad una visione storicizzata e un tantino scettica, non perde mai quel sapore epico che è ingrediente indispensabile quando si voglia parlare di Merlino e di Artù. Proprio un illustre visitatore dei mondi arturiani, quel John Boorman a cui dobbiamo la versione cinematografica più coerente dell’epopea della Tavola Rotonda - "Excalibur" -, ci dà un interpretazione pienamente sottoscrivibile di questo successo: "La leggenda del Graal ci attira perché parla di una natura che non era sporca, ed in cui l’uomo viveva in armonia (...) Non si tratta di una storia su persone che cercano di scoprire sé stesse, ma piuttosto di trovare il loro posto nel mondo, secondo un atteggiamento molto più umile. Vogliono conoscere il loro destino, l’universo al quale appartengono e i loro rapporti con gli altri. Questo è ciò che muove questa storia, e mi sembra che si tratti di qualcosa di molto più sano che non un inseguimento senza fine dell’io". Non c’è altro da aggiungere.
LB