Posizionata nel mezzo del Parco archeologico di Veio, Isola Farnese trae il proprio nome dalle caratteristiche del proprio territorio e più propriamente dal termine Insula che in epoca medievale indicava i luoghi circondati da un fosso o da corsi d’acqua. Il nome Farnese deriva invece dalla nota e potente famiglia romana in quanto nel 1588 il Cardinale Alessandro Farnese acquistò il castello con l’annesso territorio dal nobiluomo Paolo Giordano Orsini.
La storia del borgo ha inizio nell’Ottocento allorché per iniziativa dei contadini del luogo, proprio dove anticamente sorgeva l’acropoli dell’antica Veio con il tempio di Giunone, venne edificata una rocca utilizzata come luogo di raccolta e di difesa di fronte ai pericoli esterni. Il castello, noto anche come Palazzo Baronale, costruito sui resti della rocca, venne edificato con ogni probabilità nel corso del X secolo. Oscuri sono rimasti i fatti risalenti a quell’epoca, mentre sappiamo che durante il pontificato di Pasquale II nel castello furono ospitati gli ostaggi inviati da Enrico V, come pure che al suo interno nel 1209 ebbe a soggiornare Ottone IV di Brunswick appena incoronato imperatore da Innocenzo III in contrapposizione a Filippo di Svevia , mentre un secolo dopo Enrico VII del Lussemburgo ebbe a incontrare i messi di Roma. Devastata verso la metà del secolo XI dai Normanni, intervenuti in soccorso di papa Niccolò II che aveva stretto con loro il patto di Melfi (1059) e che era minacciato dal Conte Gerardo di Galera, Isola Farnese con il castello, le terre e il mulino passarono in proprietà a vari ordini religiosi e famiglie private fino a quando Andrea della famiglia degli Orsini non ne acquistò una parte dalla famiglia Muti. Negli anni a seguire rimase coinvolta nelle lotte tra i Colonna e gli Orsini e tra questi e i Borgia, restando comunque nelle mani degli Orsini fino al 1588 quando venne ceduta da Paolo Giordano Orsini al cardinale Alessandro Farnese per la somma di 17.250 scudi.
Nel 1561 Isola Farnese, già proprietà della famiglia Farnese, era stato incorporato con altri territori circostanti tra i quali Campagnano, Sacrofano, Galeria e Anguillara nel Ducato di Bracciano affidato dal Pontefice Pio IV a Paolo Giordano. Un secolo più tardi venne espropriata dalla Camera Apostolica che pur salvaguardandone l’autonomia comunale, governava a propria discrezione e piacimento la proprietà e riscuoteva l’affitto dei quattro quarti in cui era diviso il comprensorio e cioè Baccanello, Picazzano, Grottegramiccia e S. Sebastiano. Si trattò di un periodo di decadenza e di desertificazione che vide una notevole diminuzione della popolazione locale. E proprio per richiamare abitanti nella zona da parte della Comunità del Castello si decise di procedere alla assegnazione in enfiteusi perpetui alcuni appezzamenti di terreno che risultavano essere ancora di proprietà comunale. Nel frattempo a causa delle acque stagnanti e paludose dovute all’incuria e al lungo stato di abbandono, l’aria era diventata insalubre e portatrice di malattie. Il colpo di grazia fu dato dall’occupazione francese che compromise la ripresa demografica ed economica, tanto che la popolazione si ridusse a meno di venti abitanti. Per tali ragioni la Camera apostolica, volendo liberarsi di quello che ormai considerava un peso improduttivo, nel 1820 decise di vendere il territorio di Isola alla Principessa Marianna di Savoia, duchessa di Chablais che lo cedette poi alla Regina Maria Cristina di Borbone, vedova di Carlo Felice e zia di Carlo Alberto di Savoia Carignano. Fu Maria Cristina a riprendere gli scavi archeologici eseguiti dal marchese Biondi e dal conte Colombiano. Nel 1844 il territorio passò ai Rospigliosi e subito dopo ai marchesi Ferraioli che si impegnarono in un’opera meritoria di investimenti a favore della popolazione. Dopo che nel corso della prima guerra mondiale il castello, adibito a caserma, era stato deturpato da atti vandalici e dalla costruzione di sovrastrutture che ne avevano modificato la fisionomia originaria, il proprietario Filippo Ferraioli, consapevole dell’importanza storica e artistica dell’edificio, si impegnò nel suo restauro con lavori che durarono fino al 1930 e che, condotti sia all’interno che all’esterno, restituirono all’intera costruzione il suo antico decoro e il suo aspetto originario. In particolare venne ripristinato il cortile con le incisioni del Canina.