Testo di evidente ispirazione Cattolica. Dobbiamo sempre ricordare che la spiritualità Europea è figlia indissolubile della fusione dell'Uomo Pagano e dell'Uomo Cristiano. In questo scritto la visione educativa vista da una ragazza cattolica
Educazione e verità
Il primo interrogativo che dobbiamo porci riguarda la possibilità stessa dell’educazione.
Che cos’è che rende l’uomo educabile? Se educare è farsi carico di un altro, se consiste nel condurre qualcuno a sè stesso, il punto di partenza dell’educazione non è a cosa educare, ma "chi" si educa e a "diventare chi" si educa.
La realtà che rende possibile l’educazione dell’uomo è la sua aspirazione al compimento si sè, il suo desiderio di felicità: "Come cerco dunque la felicità?... mediante il ricordo, quasi l’abbia dimenticata ma ancora conservi il ricordo di averla dimenticata, oppure mediante l’anelito di conoscere una felicità ignota perchè mai conosciuta (S. Agostino, Confessioni, X, 20.29)... Dove dunque e quando ho sperimentato la mia felicità per poterla ricordare, amare e desiderare? ...(X, 21)". Questa felicità noi la troviamo e la riconosciamo nella memoria.
L’essere stesso dell’uomo è dunque, paradossalmente, orientato nella sua stessa struttura verso qualcosa che attende ma che ignora; se l’uomo non si trovasse in questa situazione la stessa idea di un cammino verso il compimento non avrebbe senso. Ciò che rende ragionevole l’educazione è il desiderio di felicità presente in ogni uomo, il desiderio del bene "definitivo"; questo desiderio da una parte permette la crescita, d’altra parte legittima l’idea di una guida che "conduca fuori" dalla situazione di attesa. Senza la presenza del desiderio l’azione educativa sarebbe o insignificante, in quanto non produrrebbe nessun effetto, o violenta.
Se la condizione di desiderio rende educabili, la condizione di colui che partecipa al bene desiderato rende possibile essere educatori.
L’azione educativa è possibile solo in una prospettiva che escluda lo scetticismo, infatti se si nega la possibilità di conoscere il "bene" che dona la felicità, il "Vero Bene" non ha più senso l’educazione.
L’azione educativa ha dunque due aspetti: da una parte è un’azione compiuta dal soggetto, infatti consiste in un cammino di risposta al personale desiderio di felicità. Dall’altra è un avvenimento eminentemente sociale, infatti l’uomo che deve compiere il cammino ha bisogno per non smarrirsi di una guida, per questo il percorso educativo non può non essere intersoggettivo e sociale.
In che misura l’educatore può intervenire in colui che educa? S. Tommaso si poneva un problema analogo domandandosi se sia possibile che qualcuno insegni ad un altro e risponde che insegnare è possibile allo stesso modo in cui è possibile guarire: come l’azione del medico induce la guarigione aiutando l’organismo a reagire alla malattia, così l’azione dell’insegnante è possibile in quanto attua le capacità di apprendimento dell’allievo. (S. Theol. I, q. 117, a. 1).
Questa concezione dell’educazione presuppone un’idea di persona come totalità capace di auto-possesso, cioè capace di conoscere e di volere e quindi principio spirituale libero e responsabile. L’educatore deve rivolgersi a questa interiorità che è la coscienza personale.
Quando nella cultura viene meno la consapevolezza di ciò che l’uomo è, l’idea di educazione subisce una modificazione profonda che da ultimo conduce alla sua dissoluzione.
Per l’individualismo illuministico l’individualità dell’uomo è sacra, ma totalmente indipendente; la dimensione intersoggettiva dell’educazione viene a cadere, il maestro si trasforma in insegnante, l’apporto dell’altro viene limitato al contenuto informativo.
L’errore opposto all’individualismo illuministico è quello delle concezioni dell’educazione che riducono il soggetto a una parte di una totalità negando di fatto la sua originalità spirituale. Educare in questa prospettiva significa adattare il soggetto alla comunità. Gentile affermava, coerentemente con questa prospettiva, che "il vero maestro è solo colui che si sente solo nella scuola, risolvendo nella propria l’individualità degli scolari" (G. Gentile, Sommario di pedagogia, Sansoni 1912, p. 136)
Educazione e riconoscimento
In contrapposizione all’errore illuministico fondato sull’assoluta indipendenza dell’individuo e all’errore di derivazione idealista che nega la dimensione personale irripetibile dell’educando, bisogna riconoscere che la relazione inter-soggettiva nell’educazione è un rapporto di riconoscimento, è e deve essere un rapporto partecipativo, cioè un rapporto in cui la soggettività dell’educando viene attivata a ricercare ed accogliere la verità e la libertà- responsabilità.
La relazione educativa non dipende dal desiderio di vedere soddisfatto il bisogno di un oggetto, ma deriva dal bisogno che è solo dell’uomo, di essere riconosciuti da un altro uomo.
La socialità nell’uomo si manifesta in due modi e dà origine a due diversi tipi di comunità. Il primo tipo di comunità nasce per raggiungere un utile comune; il secondo tipo si costituisce perchè il valore ricercato è la stessa comunione interpersonale, qui la comunicazione delle persone è voluta in sè, non per raggiungere un altro scopo. Questo è il caso per es. dell’amicizia e dell’amore ed è anche il caso della relazione educativa.
Ogni forma di esclusione sociale è fondata sul fatto che non viene concesso o viene tolto all’altro il riconoscimento. Tutto il tessuto dell’esistenza umana è fatto di rapporti di riconoscimento.
Il riconoscimento dell’altro è fondamentale nelle relazioni perchè da esso dipende lo sviluppo della stessa identità personale. Riconoscere l’altro come soggetto significa avvedersi che l’altro ha il nostro stesso valore personale, significa approvare il senso dell’essere dell’altro e, con ciò stesso, operarne il consolidamento.
L’esperienza dell’importanza dell’incontro con gli altri fa parte della storia di ogni uomo; attraverso l’incontro partecipativo, fondato sul riconoscimento dell’altro e orientato ad un fine condiviso, la persona viene "riconfermata" e perfezionata. Per raggiungere la maturità della coscienza è necessario che l’uomo conosca sè stesso e la conoscenza di sè avviene attraverso un processo di auto-identificazione che si realizza attraverso il rapporto con l’altro.
Questo accade perchè il possesso che l’uomo ha di sè stesso non è assoluto e quindi ha bisogno di essere confermato nel suo essere, nella sua esistenza.
Nel ri-conoscimento il soggetto entra a far parte di un altro, esiste nella conoscenza e nell’amore di un altro io.
Nell’altro il soggetto vede sè stesso, si percepisce attraverso la valutazione dell’altro. Qui si comprende il nesso profondo che esiste tra riconoscimento e desiderio di felicità. Il fatto di essere riconosciuto pone il soggetto nella condizione di percepire chi è, di percepire il suo stesso desiderio di felicità (es. bambini cresciuti con gli animali).
Da questo risulta che il riconoscimento è un rapporto impegnativo, è un rapporto di reciproco "potere" sull’altro. Il "potere" del riconoscimento interviene nella costituzione stessa della soggettività.
Questo apre la possibilità che il rapporto diventi da via di promozione a via di soggezione dell’altro, ciò accade quando si riesce a indurre nell’altro la credenza che un certo riconoscimento coincida con il compimento del suo desiderio di felicità.
Il riconoscimento dell’educatore o dell’educato é solo segno di compimento, non attuazione del compimento.
Il compimento interviene quando il riconoscimento viene attuato da Dio perché solo Dio é Colui che attraverso il proprio ri-conoscimento é in grado di beatificare la coscienza dell’uomo.
Per questo si può dire che ogni relazione di dominio ha le caratteristiche dell’idolatria.
L’autocoscienza dell’uomo si risveglia nell’incontro, colui che non ha mai inconrato qualcun altro non é in grado di rispondere alla domanda "chi sono io?". Grygiel osserva che la maledizione della solitudine consiste nel fatto che colui che dimora in essa non ha la possibilità di porre a sé stesso questa domanda fondamentale (cfr. Grygiel, Errantes revoca! Essai sur l’auto-conscience, sur le péchè et la reconciliation, in Anthropos, 1985, pp. 13-29).
Bisogna rilevare che l’incontro personale, lo sguardo rivolto al volto dell’altro uomo, rimane condizionato e subordinato all’incontro con Dio; gli altri uomini in quanto limitati, non possono far uscire la persona dalla sua indigenza strutturale, dalla solitudine dell’essere; per questo: "l’uomo prima o poi si accorge... che di tali incontri multiformi e irripetibili egli non possiede ancora il significato ultimo, capace di renderli definitivamente veri, buoni, belli. Intuisce in essi la presenza dell’essere; ma l’essere in quanto tale gli sfugge..." (Giovanni Paolo II, Udienza Generale del 16/11/83).
L’incontro autentico con l’altro, che é relazione di due soggettività personali, ha come condizione la presenza dello sguardo di Dio nello spirito della creatura, questa relazione con l’Assoluto permette di superare la dimensione puramente sensibile per raggiungere il valore che la persona é.
La crisi dell’idea di educazione che vive la cultura contemporanea ha probabilmente qui la sua origine, dall’aver separato rapporti di ri-conoscimento tra gli uomini dal loro fondamento che é costituito dal rapporto che ogni uomo ha con Dio. Il fenomeno del ri-conoscimento, separato dal rapporto con Dio, finisce sempre più per identificarsi esclusivamente con un’esperienza di dominio.
La via d’uscita sarà allora costituita dallo sciogliere il più possibile i rapporti vincolanti tra gli uomini? se il rapporto interpersonale é sperimentato solo come rapporto di forza, meglio rinunciare all’educazione e ridurla a pura informazione. Nella cultura contemporanea rieccheggia la domanda di Caino: sono forse io il custode di mio fratello?.
Educare la coscienza
L’educazione della coscienza deve essere educazione alla verità e alla libertà.
La coscienza è il luogo dell’incontro tra libertà dell’uomo e legge di Dio. Quindi nella coscienza l’uomo dialoga con Dio autore della legge.
La coscienza però "non é una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che é buono e ciò che é cattivo; invece, in essa é inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva che fonda e condiziona... il comportamento umano" (Dominum et vivificantem, 43).
Nel giudizio pratico della coscienza si rivela il vincolo tra verità e libertà: la coscienza decide in base alla "riflessione" della verità sul bene.
La riflessione della verità può essere falsata, cioé falsificata dalla coscienza; se la falsificazione della verità é dovuta a ignoranza invincibile dovuta ad un limite invalicabile, la coscienza non ha colpa; nel caso in cui invece la coscienza alteri volontariamente la verità e quindi sia colpevolmente erronea, di fatto compromette la propria la propria dignità (cfr. S. Tommaso, De veritate, q. 17, a. 4).
E’ necessario che la coscienza divenga consapevole del fatto che all’atto libero, alla propria scelta é legata una responsabilità.
Per la libertà infatti l’uomo dipende da sé stesso; é cioé in grado di decidere di sé, però il motivo per cui l’uomo compie una determinata scelta, sta nel fatto che ritiene di realizzare un valore per la propria felicità, per il proprio compimento.
La ragione essenziale della scelta é dunque la verità della cosa. L’uomo é libero, la volontà non é determinata dagli oggetti solo nella misura in cui dipende dalla verità. E’ proprio questa capacità di rispondere in modo autonomo alla verità, che determina la responsabilità della coscienza.
Responsabilità significa dover rispondere di sé davanti a qualcuno, innanzi tutto davanti a Dio e secondariamente davanti al proprio io giudicante.