di: Alberto B. Mariantoni
Che cos’è, oggi, la politica? E che significato hanno, nel nostro tempo, i concetti di affari pubblici e di governo delle genti?
La politica - come sappiamo - è semplicemente diventata l’interesse specifico e particolare di uno o più cittadini, di uno o più gruppi o di uno o più partiti, nei confronti di (o in rapporto con) altri cittadini, altri gruppi o altri partiti, tutti facenti parte della stessa società. Il contrario, cioè, di quello che è o dovrebbe essere la politica!
Inutile, quindi, meravigliarsi se gli affari pubblici di un paese, siano semplicemente diventati tutto ciò che investe o riguarda l’interesse specifico di una fazione momentaneamente al potere, nei confronti di (o in rapporto con) altre fazioni ed altri interessi, momentaneamente all’opposizione, nell’ambito della stessa società. Ed il governo di una nazione - dal canto suo - sia diventato la forma e la sostanza che assume quell’interesse di parte, per meglio realizzare la condizione del ben vivere per la propria fazione e le sue specifiche clientele, nel contesto di una società fondamentalmente spoliticizzata ed, al tempo stesso, globalmente atomizzata e " politicamente " frastagliata e divisa. Una società, cioè, che pochi gestiscono, amministrano e fanno funzionare, proprio perché solo " pochi ", nel passato, hanno contribuito ad immaginare, plasmare e organizzare.
Quei " pochi ", infatti, per garantire l’esercizio di un potere che, per natura, è usurpatore ed illegittimo, hanno inventato un sistema che permette ai " furbi ", di ogni epoca e di ogni età, di dominare impunemente i " fessi ", con il loro consenso e senza che questi ultimi se ne accorgano o se ne rendano conto.
Mi riferisco, naturalmente, a quel sistema di dominazione dei popoli che dal tempo della " Rivoluzione francese " del 1789, ci viene contrabbandato e descritto come il nec plus ultra della " democrazia ": il cosiddetto sistema parlamentare rappresentativo.
Questo sistema - impropriamente definito ed abusivamente considerato " democratico " - prevede il dominio pro tempore di una fazione sulle altre e permette alla fazione al governo, di confiscare e monopolizzare, a suo vantaggio, la totalità del potere che, ad esempio, nell’Atene del tempo di Pericle, apparteneva, individualmente e collettivamente, all’insieme dei cittadini di quella " Città-Stato ".
Questa tirannia, inoltre, è definita e considerata " democratica ", poiché concede alla maggioranza dei " fessi " che popolano ogni nazione, la possibilità di scegliere tra gli svariati " furbi " che guidano le diverse e variegate fazioni del loro paese. E’ altresì definita e considerata " democratica ", poiché i differenti " furbi " che governano i loro rispettivi paesi o che aspirano a farlo, si dichiarano ufficialmente disposti a monopolizzare il potere della loro nazione solo per un tempo limitato ed a scambiarselo reciprocamente con gli altri " furbi " che controllano le fazioni avversarie, ogni qualvolta una maggioranza aritmetica di " fessi " - che in generale non possiede mai le informazioni necessarie o sufficienti che gli permetterebbero realmente di scegliere o di decidere e che, per definizione, è quasi sempre la parte della società che è meno capace o più sprovveduta - decida da quali " furbi " farsi momentaneamente governare, attraverso l’esercizio saltuario e condizionato del suffragio universale.
La maggior parte dei cittadini, infatti - se si esclude l’effimero gesto che è loro concesso di potere andare, di tanto in tanto, a votare per l’uno o l’altro dei " furbi " di turno - sono sistematicamente marginalizzati dalla vita pubblica del loro paese ed espressamente mantenuti all’oscuro delle reali problematiche che travagliano la loro società, per meglio permettere ai " furbi " delle differenti fazioni in campo, di manipolare le coscienze della maggioranza dei " fessi " e, da questi, farsi considerare indispensabili, sia per farsi eleggere ed assegnare legalmente il potere che per avere la possibilità di regnare soli ed indisturbati sull’insieme della società, nel nome e per conto di tutta la comunità.
Il sistema parlamentare rappresentativo, in fine, è definito e considerato " democratico ", poiché i rappresentanti di questo regime, nel corso degli ultimi 212 anni, hanno avuto l’accortezza di impadronirsi e di monopolizzare a loro vantaggio una serie di parole astratte a consonanza compiacente e garbata - come la " democrazia ", la " libertà ", " l’uguaglianza ", la " fratellanza ", la " solidarietà ", la " giustizia ", lo " Stato di diritto ", la " tolleranza ", i " diritti dell’Uomo ", la " partecipazione ", ecc. - che da un punto di vista generale, sono perfettamente assimilabili ed accettabili dall’orecchio moderato e dalle coscienze mansuete o quasi sempre bonarie della maggioranza dei " fessi ".
Per la maggioranza dei " fessi ", infatti, non è necessario che le suddette parole corrispondano effettivamente a fatti reali o a situazioni di concreta applicazione o realizzazione. Vista la completa spoliticizzazione e marginalizzazione della maggioranza dei cittadini, è più che sufficiente che, i " furbi " di cui sopra, le ripetano e le martellino quotidianamente alle orecchie dei loro amministrati, per dare loro l’illusione che stiano veramente vivendo nel " migliore dei mondi " o che abbiano la fortuna di essere governati dal " più valido " o dal " meno peggio " dei regimi esistenti.
L’utilizzazione costante ed il monopolio metodico di quelle parole, inoltre, permettono ai " furbi " in questione - con il concorso diretto o indiretto della maggioranza dei " fessi " - di camuffare la reale natura del loro regime, di esercitare impunemente la loro tirannia e di perpetuare nel tempo qualunque tipo di abuso o di soperchieria. Questo, senza che nessuno possa essere in grado di attaccarli frontalmente, sia per denunciare apertamente i loro misfatti che per tentare di spodestarli.
Chiunque, infatti, pretendesse contestare il loro sistema, denunciare le loro malefatte, opporsi fermamente alla loro tirannia o semplicemente cercare di scrollarsi di dosso le loro strutture oppressive, si troverebbe immediatamente confrontato a questo tipo di dilemma: che terminologia utilizzare per propagandare e diffondere il proprio motivo di rivolta? Che cavalli di battaglia verbali adoperare, per farsi capire dalle masse e per poter sperare di arruolare il maggior numero di adepti, sia per scacciare gli oppressori che poter restituire ai soli aventi diritto di ogni nazione - i popoli - l’antica sovranità che è stata loro sottratta o confiscata?
Due sembrano essere le reali possibilità di scelta: la prima, quella di utilizzare le stesse parole e gli stessi argomenti a consonanza compiacente e garbata che sono normalmente impiegati dal campo avversario; la seconda, quella di scegliere una terminologia diametralmente opposta a quella che è sbandierata dai propri nemici, sia per distinguersi nettamente da loro che per affermare e mettere in pratica il contrario di ciò che essi stessi sintetizzano ed abbinano normalmente ai loro quotidiani ed usuali termini di propaganda.
Nei due casi, però, sarà sempre l’attuale sistema oppressore che riuscirà a trarne il massimo dei vantaggi.
Se il " chiunque " di cui sopra, infatti, utilizzasse la terminologia dell’avversario e si riferisse anch’egli alla " democrazia ", alla " libertà ", " all’uguaglianza ", alla " fratellanza ", alla " solidarietà ", alla " giustizia ", allo " Stato di diritto ", alla " tolleranza ", ai " diritti dell’Uomo ", alla " partecipazione ", ecc., si ritroverebbe, senza volerlo, tra i " propagandisti ", diretti o indiretti, di quel regime o, al limite, si farebbe semplicemente recuperare dalle strutture del sistema avversario. Questo, naturalmente, senza poter essere in grado di trasmettere alle masse il messaggio del suo sacrosanto motivo di rivolta!
Se invece volesse distinguersi dai suoi avversari e distanziarsi dai luoghi comuni della loro propaganda, sarebbe costretto ad utilizzare una terminologia che lo discrediterebbe immediatamente agli occhi dell’opinione pubblica, prima ancora di aver pubblicato il suo " programma " o cominciato realmente a sfidare o a combattere contro quel sistema.
Per distinguersi dai suoi avversari e per rivendicare la sovranità del suo popolo, infatti, sarebbe semplicemente costretto ad inalberare le bandiere della " dittatura ", della " servitù ", della " disuguaglianza ", nonché quelle del " tradimento ", " dell’egoismo " e " dell’ingiustizia ". Senza dimenticare, quelle del " despotismo ", " dell’intolleranza ", della " negazione di ogni diritto umano ", " dell’esclusione sistematica ", ecc.
Inutile, allora, meravigliarsi, se le società del nostro tempo sono completamente disgregate ed, al tempo stesso, tiranneggiate da forze fondamentalmente mercenarie ed opportuniste, nonché estremamente corrotte ed inevitabilmente corruttrici.
Le nostre società si sono atomizzate, poiché abbiamo dimenticato il senso logico ed il vero significato della parola " politica "; sono diventate impotenti, poiché abbiamo supinamente accettato di farci dividere in " fazioni opposte " all’interno della stessa società e di farci espropriare le nostre principali prerogative; sono diventate il luogo aberrante ed invivibile della nostra cosciente o incosciente schiavitù, poiché tra il " comandare " e " l’obbedire ", abbiamo semplicemente scelto di rinunciare alla nostra dignità ed alla nostra sovranità, per indossare, volontariamente o involontariamente, il saio dell’idiotes e le catene infrangibili ed invisibili del nostro individualismo, del nostro egoismo, della nostra viltà e della nostra triste e stolta irresponsabilità.
Come sottolinea giustamente Bernard Notin, " l’asservimento risulta sempre da una perdita di qualità della sfera del politico e lo smarrimento o lo scompiglio di una società è sempre legato alla scomparsa di riferimenti nel campo dei valori ".
A noi, dunque, di decidere: vogliamo continuare a nascondere la testa sotto la sabbia ed a vivere e ad agire come l’abbiamo fatto fino ad oggi? Oppure, vogliamo radicalmente cambiare, per cercare di ricreare le condizioni dell’antico ben vivere, all’interno di una società organica e differenziata?
Se vogliamo veramente cambiare, da questo momento, sappiamo pure cosa dobbiamo fare:
dobbiamo dapprima ricercare e circoscrivere i valori che furono all’origine della nostra società e della nostra civiltà;
dobbiamo, in seguito, tentare di riappropriarceli, approfondendoli, comprendendoli e cercando di viverli e di metterli in pratica personalmente;
dobbiamo, in fine, cercare di divulgarli il più possibile tra coloro che, nella nostra cerchia di amici e conoscenti, avvertono il bisogno di ridare un senso civile e morale alla vita o sentono fortemente la necessità di ricostituire una società che sia di nuovo a misura ed a contenuti umani.
Tra coloro che riusciremo a convincere e che si riconosceranno nei nostri stessi valori:
dobbiamo cercare di riunire tutte quelle persone che sentono il bisogno urgente di definire e fissare un nuovo modello di società che corrisponda, sia a quei valori che alle loro attese.
Tra queste persone:
dobbiamo operare una divisione del lavoro e raggruppare distintamente, per competenze e capacità, tutti coloro che potrebbero essere in grado di immaginare, elaborare e realizzare un primo progetto concreto o l’embrione di quella che sarà, in futuro - ed in scala molto più vasta - la società di domani.
Inoltre, con il concorso di quanti vorranno partecipare alla realizzazione di questo primo progetto:
dobbiamo stabilire e fissare i limiti politici, economici e sociali della nostra società ideale; nonché definire i principi civili e morali che dovranno garantire l’esistenza e la persistenza dei nostri valori e del nostro modello, nel contesto della pratica quotidiana;
dobbiamo definire e fissare che cosa significhi essere membro della nostra società, nonché stabilire quali doveri e quali diritti implichi quella nostra qualità e quella nostra prerogativa;
dobbiamo fissare e stabilire le " regole del gioco " o le leggi della nostra associazione, nonché i " premi " e le " punizioni " che saranno attinenti o conseguenti al rispetto o all’infrazione di quelle regole;
dobbiamo altresì prevedere e rendere agibili ed operanti gli strumenti che saranno preposti al rispetto dell’ordinamento comune che ci saremo liberamente istituito.
Una volta realizzato un primo progetto di massima:
dobbiamo sottometterlo all’analisi ed alla critica di quanti vorranno partecipare alla nostra avventura;
dobbiamo cercare di affinarlo a partire dagli emendamenti o dalle modifiche che saranno ritenute necessarie dall’assemblea generale dei membri della nostra società;
dobbiamo, in fine, cercare di metterlo in pratica, per gradi e nelle proporzioni che ogni volta riterremo valide, utili e possibili, ripartendo i ruoli e le responsabilità che ognuno di noi avrà proposto di scegliere o di ricoprire, sulla base delle sue capacità e delle sue competenze.
Se ognuno di noi svolgerà coscienziosamente e responsabilmente i compiti che ci saremo armoniosamente e concordemente ripartiti, quel primo progetto concreto si trasformerà immediatamente nella prima pietra del nostro futuro edificio comune.
Quel nostro gesto, in ogni caso, ci avrà permesso di percorrere la parte più lunga e difficile del tragitto che ci separa dall’ambito traguardo che saremo stati capaci di imporci: quello del risveglio del nostro popolo e della nostra civiltà, attraverso una capillare e sistematica riconquista della nostra dignità e della nostra sovranità, senza dimenticare l’indispensabile restituzione del senso civile e morale alla qualità politica della nostra società e del nostro Stato.
di: Alberto B. Mariantoni