MUGIAHIDIN NELLA VALLE DEL PO
Claudio Mutti
Se alquanto povera è la bibliografia relativa al capitolo storico della collaborazione politica e militare che intercorse tra il mondo dell'Islam e il Terzo Reich,1 una "estrema scarsità di documenti"2 è stata a buon diritto lamentata per quanto concerne "quegli oscuri reparti mongoli" che nel secondo conflitto mondiale militarono al fianco degli eserciti dell'Asse.
In realtà non di Mongoli si trattava, bensì di Turchi del Caucaso e dell'Asia centrale, schieratisi dalla parte dell'Asse dopo che il più autorevole esponente dell'Islam, il Gran Muftì di Gerusalemme Hâjj Amîn al-Husaynî, ebbe proclamato il gihàd contro il giudaismo internazionale e le potenze con esso solidali. Se i mugiahidin allora operanti nella Valle del Po possono ancor oggi essere scambiati per "Mongoli", lo si deve al fatto che le etnie turco-tatare di alcune regioni centro asiatiche presentano caratteri somatici fortemente mongolizzati, tant'è vero che chi vide quei soldati rimase colpito da "gambette arcuate" e "occhietti di talpe"3 o "occhi a mandorla"4 e li ha descritti come "piccoli, brutti e rognosi asiatici"5. D'altronde, basterebbe osservare la fotografia riprodotta in un libro su Parma nella Repubblica Sociale, nella quale sono ritratti tre militari dalle sembianze mongolidi e tuttavia appartenenti a una popolazione di lingua turco-tatara e di tradizione islamica: si tratta infatti di "soldati musulmani della Türkestan originari del Kazakistan volontari nell'esercito germanico"6. A ingenerare la sommaria denominazione di "Mongoli" non fu dunque l'aspetto fisico dei Tatari di Crimea, né quello di una qualche etnia caucasica, turca o d'altro ceppo, bensì la facies esotica dei mugiahidin turco-tatari provenienti dall'Asia centrale.
I cosiddetti "Mongoli" fiancheggiarono le truppe germaniche in alcune importanti operazioni antiguerriglia sull'Appennino. La loro presenza è attestata, ad esempio, nella battaglia di Montefiorino, avvenuta nell'estate del 1944. "Secondo informazioni da me non potute controllare -si legge nella relazione del "comandante" partigiano Mario Nardi- le forze attaccanti sarebbero risultate costituite da due divisioni tedesche (una probabilmente turcomanna in quanto nel settore nord gli attaccanti erano per la maggior parte di razza mongoloide) e due battaglioni di milizia fascista"7.
Nella provincia di Parma, i combattenti turco-tatari parteciparono all'"operazione Totila", che ebbe luogo tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945. Nel quadro di tale operazione, cui presero parte anche alpini sciatori e bersaglieri italiani nonché soldati tedeschi del generale Fretter-Pico, "i musulmani della Türkestan, partendo dalla zona di Borgotaro, investirono a largo raggio il settore Ovest-Cisa muovendo verso nord in direzione di Salsomaggiore (...) I partigiani, strettamente marcati nel loro sganciamento verso la Val Ceno, si trovano tagliata la strada dalle truppe musulmane che il 2 gennaio hanno già raggiunto Ponteceno. Ai partigiani della 32a non resta che rifugiarsi a ridosso del confine piacentino"8. Nel suo diario di guerra, il generale Guido Monardi annotava: "I guerriglieri sospinti dai reparti della divisione Türkestan si ritirarono ovunque precipitosamente, camuffandosi e mimetizzandosi fra la popolazione civile"9.
Il 10 gennaio 1945, un drappello di "Mongoli" incrociò tra Vianino e la fondovalle un folto gruppo di partigiani appartenenti alla 31a brigata Garibaldi, cui si erano aggregati alcuni renitenti di Varano Melegari. I "Mongoli" ebbero facilmente il sopravvento sulla banda, poi continuarono a rastrellare verso nord. Alcuni giorni più tardi ebbe luogo nel reggiano, tra Scandiano e Baiso, un vasto rastrellamento nel quale operarono diligentemente i legionari turchi.
I "Mongoli" combatterono fino all'ultimo: poco prima del 25 aprile "reparti di cavalleria mongola provenienti dal fronte di Bologna, dopo aver tentato invano di attraversare il Po (...) salirono verso Barco e Montecchio tentando di varcare là il fiume, ma qui incontrarono squadre di partigiani parmensi, che li ostacolarono con una nutrita sparatoria la quale si tramutò ben presto in un violento combattimento"10.
Il 28 aprile 1945 vengono inumati nel cimitero di Parma sei "militari tedeschi sconosciuti"; di un settimo soldato, seppellito in quel medesimo giorno, il registro cimiteriale ci ha però custodito il nome: Babajew Mamajakub. Era, evidentemente, un "Mongolo".
"Gli unici che io ritengo degni di fiducia sono i puri Musulmani, dunque i Turchi autentici"11, aveva detto il Führer il 12 dicembre 1942, discriminando nettamente tra le molteplici nazionalità minoritarie dell'URSS e quindi polemizzando con la Wehrmacht, la quale tendeva invece a mettere sullo stesso piano i popoli di religione cristiana (Ucraini, Georgiani, Armeni ecc.) e quelli di tradizione islamica.
Fu tra l'ottobre e il novembre del 1941 che si formarono le prime unità combattenti di volontari turco-tatari e caucasici. Presso la Sicherungsdivision 444 si costituì un reggimento turco-tataro che sarebbe entrato in azione successivamente, tra la foce del Dnjepr e la Crimea, come Türk-Bataillon 444. Un altro gruppo di soldati dell'Armata Rossa originari dell'Asia centrale, dopo essere passato coi Tedeschi, diede vita a quell'unità che nel 1942 sarebbe diventata l'Infanteriebataillon 450, specializzato nell'attività antipartigiana. Nel campo di concentramento di Neuhammer, in Slesia, si formò invece il Sonderverband Bergmann, nel quale confluivano sia elementi musulmani (una compagnia azera e nordcaucasica) sia elementi cristiani (tre compagnie georgiane, un plotone armeno). In seguito a due successive azioni sul fronte caucasico (estate 1942 e gennaio 1943), la Bergmann incrementerà i propri effettivi grazie all'afflusso di nuovi volontari, sicché l'unità dovrà essere riorganizzata in tre battaglioni: uno georgiano, uno azero e uno nordcaucasico. Il primo e il terzo verranno trasferiti in Grecia, mentre gli Azeri andranno a fronteggiare l'insurrezione di Varsavia nell'agosto 1944. Infine, vi furono reparti di vario genere, tra i quali la Brigata Roller (20.000 uomini, per lo più türkmeni), la Divisione Montanari del Caucaso (7.000 uomini), una decina di battaglioni, oltre duecento compagnie autonome dislocate nelle retrovie, reparti d'autodifesa dei villaggi caucasici.
Al fine di coordinare organicamente le formazioni di volontari caucasici e turco-tatari che si andavano costituendo, sorse nel febbraio del 1942 lo Stato Maggiore delle Legioni Orientali, al quale facevano capo sei legioni, per un totale di ottanta battaglioni: la Türkestanische Legion (26 battaglioni), che inquadrava volontari cazachi, chirgisi, usbechi, turcmeni, caracalpachi e di altre etnie; la Kaukasisch-Mohammedanische Legion, che diventerà poi la Aserbaidschanische Legion (14 battaglioni); la Nordkaukasische Legion (9 battaglioni), formata da legionari appartenenti a una trentina di etnie; la Wolgatatarische Legion (7 battaglioni); infine, costituite ambedue di elementi cristiani, la Georgische Legion (12 battaglioni) e la Armenische Legion (12 battaglioni). Parallelamente venivano addestrate in Ucraina altre cinque legioni (nordcaucasica, azera, turchestana, georgiana, armena), sicché parecchi altri battaglioni vennero raggruppati nella 162a Divisione di fanteria (nota anche come 162a Divisione Turkmena o Divisione Türkestan); dal maggio 1942 al maggio 1943 furono così schierati in campo altri 37 battaglioni.
Ad arrivare in Italia, per contrastare l'invasione occidentale e il collaborazionismo partigiano, fu la 162a Divisione di fanteria, comandata dal
Generalmajor Ralph von Heygendorff e forte di 35.000 uomini, Caucasici e Turco-tatari appartenenti a varie etnie. Nel maggio 1944, mentre la 162a abbandonava la Slovenia dove era stata inizialmente dislocata e impiegata in azioni antipartigiane, Himmler emanava l'ordine di istituire una divisione turca autonoma, per la quale era prevista la denominazione di Neu-Türkestan. Quello che si riuscì a realizzare, fu una formazione di quattro reggimenti comandata da un musulmano tedesco14 e con un corpo ufficiali composto prevalentemente di "legionari orientali". Dopo avere resistito in prima linea in Toscana contro gl'invasori, la Neu-Türkestan combatté contro i partigiani di Montefiorino ed eliminò la cosiddetta "zona libera" dell'Oltrepò pavese. Infine, negli ultimi mesi di guerra, la divisione musulmana fu schierata contro gli Inglesi sulla costa romagnola.Altri gruppi armati si erano formati in Crimea, dove fin dai primi mesi del 1942 tremila volontari si organizzarono in otto Compagnie Tatare d'Autodifesa, mentre altri si arruolavano in diverse formazioni. Su una popolazione turco-tatara di circa 300.000 anime, si ebbero, entro il 1942, almeno 15.000 volontari, che successivamente diventarono 20.000; di questi, una buona parte venne inquadrata in otto battaglioni di Schutzmannschaften (poliziotti ausiliari). I mugiahidin della Crimea si dedicarono soprattutto alla repressione delle attività partigiane.
Se al termine del conflitto i Tatari della Crimea arruolati a fianco dell'Asse erano 20.000, i volontari caucasici delle varie nazionalità, compresi Georgiani ed Armeni12, ammontavano a 110.000, mentre i Tatari del Volga (compresi i non tatari e non musulmani Mordvini e Ceremissi) erano 40.000 e i Turchi centro-asiatici 180.000. In totale, 350.000 uomini, di cui circa 300.000 musulmani. I morti furono 117.00013.
Morti? I mugiahidin avrebbero obiettato recitando il versetto coranico (III, 169): "Non ritenere morti coloro che sono stati uccisi sulla Via d'Iddio, ché invece son vivi presso il loro Signore e ricevon provvidenza"
1. Laddove si prescinda dalla letteratura fiorita intorno alla figura del Gran Muftì di Gerusalemme, Hâjj Amîn al-Husseynî, che di tale collaborazione fu la personalità più autorevole ed emblematica, la bibliografia relativa è davvero povera. Il libro di H.W. Neulen An deutscher Seite (München 1985) riesce a contenere in poco più di una pagina i titoli delle monografie concernenti i rapporti della Germania nazionalsocialista con gli Stati e i popoli musulmani d'Africa e d'Asia. In italiano, fatta eccezione per qualche articolo su riviste difficilmente accessibili e qualche mezza pagina sparsa in volumi dedicati a temi più ampi, sembra che esistano solo gli studi di Stefano Fabei: La politica maghrebina del Terzo Reich (All'insegna del Veltro, Parma 1988) e Guerra santa nel Golfo (All'insegna del Veltro, Parma 1990), nonché il nostro Il nazismo e l'Islam (Ediz. Barbarossa, Saluzzo 1986), cui va aggiunta la ventina di pagine contenute nel ponderoso libro di Marzio Gozzoli Popoli al bivio (Ed. dell'Uomo Libero, Milano 1989). Sulla guerra d'indipendenza irakena del 1941 e sull'appoggio tedesco al governo di Bagdad, cfr. Mario Costa, Perché Hitler non lanciò i "parà" sul Medio Oriente?, "Storia illustrata", 140, luglio 1969 e anche Carlo De Risio, 1941 La prima "tempesta nel deserto", "Rivista Militare", nov.-dic. 1991.
2. Così Riccardo Bertani in Quegli oscuri reparti mongoli, "Gazzetta di Reggio", 21 maggio 1981. Dello stesso autore: Chi erano quegli oscuri reparti "mongoli" aggregati alle truppe germaniche?, "Notiziario ANPI", n.1-2, Reggio Emilia 1991. Per quanto attiene alle formazioni militari turco-tatare, la bibliografia è quella che segue: St. Georg, Die Fahnen der türkestanischen Freiwilligen-Verbände, "Zeitschr. für Heeres- und Uniformkunde", 1954; B. Hayit, Türkestan im Herzen Euroasiens, Köln 1980; J. Hoffmann, Die Ostlegionen 1941-1943. Türkotataren, Kaukasier und Wolgafinnen im deutschen Heer, Freiburg 1976; Ch. W. Hostler, Türken und Sowiets, Frankfurt 1960; E. Kirimal, Der nationale Kampf der Krimtürken, Emsdetten 1952; St. Martin, Die Abzeichen der Aserbaidschanischen Legion, "Zeitschrift f. H. u. U.", 1954; G. von Mende, Erfahrungen mit Ostfreiwilligen in der deutschen Wehrmacht während des Zweiten Weltkrieges, "Auslandsforschung", 1, Darmstadt 1952; O. Münter, Die Ostfreiwilligen, "Damals", 1979; F. W. Seidler, Zur Führung der Osttruppen in der deutschen Wehrmacht im Zweiten Weltkrieg, "WWR", 1970; J. Thorwald, Die Illusion, München-Zürich 1976.
3. I. Petrolini, Nugae, Parma 1990, p.78.
4. L. Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini, Milano 1995, p.6.
5. Espressione reiterata in M. Caffagnini, Bardi invasa dai mongoli. Quei "brutti" collaboratori dei nazisti, "Gazzetta di Parma", 25 febbr. 1991. (L'esempio è istruttivo: mostra come l'antifascismo e l'antinazismo possano legittimare tutto, anche quello che in altri casi verrebbe bollato come "razzismo della peggiore specie").
6. F. Morini, Parma nella Repubblica Sociale, Parma 1989, p. 221.
7. E. Gorrieri, La Repubblica di Montefiorino, Bologna 1966, p. 405.
8. F. Morini, op. cit., pp. 214-215.
9. G. Pisanò, Storia delle forze armate della RSI, Milano 1982, vol. I, p. 579.
10. R. Bertani, I mongoli, servi dei tedeschi, "Gazzetta di Reggio", 30 maggio 1981.
11. "Die einzigen, die ich für zuverlässig halte, sind die reinen Mohammedaner, also die wirklichen Türkvölker" (Hitlers Lagebesprechungen im Führerhauptquartier, a cura di H. Heiber, Darmstadt-Wien 1963, p. 46). Cfr. Hitler stratega, Verbali di conversazioni al Quartier Generale di Hitler, Milano 1966, p. 55, dove però la frase è tradotta in maniera approssimativa.
12. J. Thorwald, Die Illusion, cit., p. 258.
13. H.W. Neulen, An deutscher Seite, cit., p. 342 e p. 333.
14. Al filoislamismo diffuso in alcuni ambienti nazionalsocialisti corrispose, a partire dagli anni '30, una serie di conversioni all'Islam, che si intensificarono nel periodo in cui il Gran Muftì di Gerusalemme risiedette a Berlino. Fu negli anni del Terzo Reich che il Congresso mondiale islamico ebbe una sezione tedesca; il periodico della comunità musulmana tedesca, la "Moslemische Revue", continuò a uscire fino al 1945. Gli altri periodici islamici pubblicati nella Germania nazionalsocialista furono appunto i giornali dei volontari turchi: "Azerbaican" (organo dei legionari azeri), "Kirim" (settimanale dei volontari turchi di Crimea, 1944-'45), "Yeni Türkistan", "Svoboda", "Türk Birligi" (giornali dei Turchi centroasiatici).