Marinetti seppe coniugare, in modo sublime, arte ed azione in un connubio indissolubile. partecipa come volontario a sessanta sei anni alla campagna di Russia, da cui tornò profondamente segnato nel corpo ma non mello spirito. Morì a Bellagio, nell'attuale Hotel Excelsior Splendide, sul Lago di Como, il 2 dicembre 1944, in seguito a una crisi cardiaca: aveva appena scritto il suo ultimo testo, Quarto d'ora di poesia della X Mas. Ecco come la moglie Benedetta lo ricorda
"Il primo dicembre l'alba, dietro i monti del centro lago di Como, sollevava appena le tenebre, Marinetti fu sveglio.
Marinetti rifuggiva da queste ore di trapasso dalla notte al giorno; così per abitudine accendevo molte lampade e parlavamo. Quell'alba parlò Marinetti. Scagliò contro la fuliggine sporca che opprimeva il cielo d'Italia rancore, dolore, fede, il suo dramma. Ritornando dal fronte sul Don dove 30° sotto zero avevano leso il suo cuore, in 23 mesi paziente speranza e volontà di guarire aveva potenziate chiarificate sublimate al massimo le proprie possibilità spirituali ma sempre in pericolo mortale per ogni minimo sforzo fisico. Marinetti poteva solo essere pensiero azione.
Concluse: "Benedetta fammi uscire da questo tormento altrimenti muoio". Simili stati d'animo gli nuocevano. Mi chiese un calmante. Si assopì. La cima del monte Crocione era già imbevuta d'oro e le pallide nebbie su Cadenabbia vinte quando si svegliò. Marinetti guardò felice al sole, al giorno luminoso nitido senza decoro di foglie, ingioiellato dall'aria rigida, cesellato in ogni tono e forma. "Sono contento", disse, "nel dormiveglia ho precisato un poema per l'Italia".
Quando il sole era alto, scese a riva lago dove l'acqua madreperla rosa viola si sforzava di plagiare trasparenze blu capresi. Ricordi di vita solare. Ora la fuga a toni degradante dolcissimi dei promontori portava lo sguardo in alto al candore delle navi circonfuse di luce e di azzurro.
Marinetti fu a lungo assorto, costruiva un suo nuovo libro sul paesaggio manzoniano. Lo stupì e interessò un volo opaco pesante cieco: andava tornava fior d'acqua davanti alla nostra ringhiera, un piccolo pipistrello fuori tempo e luogo. Segnava forse già la pausa nera del destino.
Poi, scolaro diligente compito d'esame bene eseguito, volle proprio scrivere lui il poema sulla X Mas e proprio volle sul quaderno della primogenita Vittoria incitamento gara colla esuberante giovinezza tormentata e altalenante fra indolenza oriente letteratura e passione azione vita, universitaria aspirante ausiliaria.
"Come me", diceva "sono responsabile, sei il mio ritratto". Lesse a lei e a me il suo poema. Finita la breve cena un libro americano in mano di una signora belga scatenò in lui una delle tipiche conversazioni monologo in francese: essenza della poesia, del romanzo, universalità precisione stilistica psicologia immaginazione primato italiano.
Alla 1 e 20' del 2 dicembre la sua voce calma mi chiama: "Scusami. Già sveglio ho voluto lavorare troppo intensamente. Ho un po' d'affanno" La crisi precipita. Il cuore si bloccava. Mi guardò concentrando nello sguardo una sorprendente potenza di pensiero disperato interrogante, mentre la bocca disegnava non espresso un violento canto alla vita. Dio mi concesse un sorriso per confortarlo. E fu nel cielo della notte lunare.
Marinetti lo hai detto alle stelle conquistate a 20 anni con il tuo primo libro il tuo ultimo canto, e il tuo pensiero lo hai consegnato al Cuore Divino. Velocemente come sapevi tu cancellare le distanze terrestri da Nord a Sud da Continente a Continente sei passato oltre il fronte della vita. Lottando per l'Italia con la tua arma che crea e non uccide e la sapevi mirabilmente usare.
Vincendo per la Poesia una nuova quota. Sei partito da noi come partivi in guerra: per agire. "Finalmente", dirai, "posso senza divieti e limiti ispirare proteggere guarire la nostra adorata Italia ferita ma immortale". Le avevi dato fantasia idee sentimenti volontà ubbidienza sofferenza disperazione non potendole dare sul campo di battaglia soldato il tuo sangue il tuo cuore si è fermato.
Marinetti, il tuo sangue ha seminato i campi del cielo il 2 gennaio, per i fiori della primavera italiana.
L'hai promessa con questo poema ai soldati della nostra Italia Repubblicana."
Benedetta
Quarto d’ora di poesia della X Mas
Salite in autocarro aeropoeti e via che si va finalmente a farsi benedire dopo tanti striduli fischi di ruote rondini criticomani lambicchi di ventosi pessimismi.
Guasto al motore fermarsi fra italiani ma voi voi ventenni siete gli ormai famosi renitenti alla leva dell'Ideale e tengo a dirvi che spesso si tentò assolvervi accusando l'opprimente pedantismo di carta bollata burocrazie divieti censure formalismi meschinerie e passatismi torturatori con cui impantanarono il ritmo bollente adamantino del vostro volontariato sorgivo a mezzo il campo di battaglia.
Non vi grido arrivederci in Paradiso che lassù vi toccherebbe ubbidire all'infinito amore purissimo di Dio mentre voi ora smaniate dal desiderio di comandare un esercito di ragionamenti e perciò avanti autocarri.
Urbanismi officine banche e campi arati andate a scuola da questi solenni professori di sociologia formiche termiti api castori.
Io non ho nulla da insegnarvi mondo come sono d'ogni quotidianismo e faro di un'aeropoesia fuori tempo spazio.
I cimiteri dei grandi Italiani slacciano i loro muretti agresti nella viltà dello scirocco e danno iraconde scintille crepitano impazienze di polveriera senza dubbio esploderanno esplodono morti unghiuti dunque autocarri avanti.
Voi pontieristi frenatori del passo calcolato voi becchini cocciuti nello sforzo di seppellire primavere, entusiaste di gloria ditemi siete soddisfatti d'aver potuto cacciare in fondo fondo al vostro letamaio ideologico la fragile e deliziosa Italia ferita che non muore.
Autocarri avanti e tu non distrarti raggomitola il tuo corpo ardito a brandelli che la rapiditŕ crudele vuol sbalestrarti in cielo prima del tempo.
Scoppia un cimitero di grandi Italiani e chiama Fermatevi fermatevi volantisti italiani avete bisogno di tritolo ve lo regaliamo noi ve lo regaliamo noi noi ottimo tritolo estratto dal midollo dello scheletro.
E sia quel che sia la parola ossa si sposi colla parola possa con la rima vetusta frusti le froge dell'Avvenire accese dai biondeggianti fieni di un primato.
Ci siamo finalmente e si scende in terra quasi santa.
Beatitudine scabrosa di colline inferocite sparano.
Vibra a lunghe corde tese che i proiettili strimpellano la voluttuosa prima linea di combattimento ed è una tuonante catedrale coricata a implorere Gesù con schianti di petti lacerati.
Saremo siamo le inginocchiate mitragliatrici a canne palpitanti di preghiere.
Bacio ribaciare le armi chiodate di mille mille mille cuori tutti traforati dal veemente oblio eterno.