Il mito del sabato sera, la rivincita dell'italiano medio, la vittoria degli zombie. La settimana scorre lenta: lunedì, il processo; martedì, l’appello; mercoledì, coppe europee; giovedì, serata sui social; venerdì reality. Il tutto tra una Gazzetta dello Sport e il lavoro che è una rottura. Poi, però, arriva il fine settimana: gel, abbigliamento "fuori" e via. Liberi, liberi siamo noi... Sabato mattina, al limite, si fa la spesa. Al supermercato, in piazza della Vetra o dall’amico fidato, cambia forse la forma, ma la sostanza è sempre stupefacente. Alcool, hascisc, coca, sono le diverse strade che portano al medesimo obiettivo: caduta dei freni inibitori, nessuna paura, sei un’altra persona. Ed eccoci alla liturgia della discoteca: suoni a tutto volume, mini mozzafiato, facce allucinate - una vodka alla pesca e "Please don’t go". Tre ore durante le quali puoi scegliere tra ballare fino allo sfinimento, girare senza sosta tra i divanetti, tentare l’improbabile aggancio con - nell’ordine: ore 24.00, la più carina del locale; ore 1.00, la sua amica non male; ore 2.00, una ex che forse ci sta ancora; ore 3.30, un mostro incontrato in prossimità della toilette. Il panorama è desolante. E’ una solitudine collettiva, nella quale ognuno balla per conto proprio, racchiuso in un cilindro di suoni più duro del plexiglas, convinto di essere Don Johnson/Claudia Schiffer, e di avere gli occhi di tutto il locale addosso. Sembra che debba succedere di tutto ma non succede mai niente. Due che si minacciano, mostrando pugni che non tireranno mai. L’altro che aggancia una bionda, sembra che si debbano sposare, poi lei gli da il due di picche. Perchè là dentro è tutto finto, tutto di plastica. E’ tutto un cinema. Alla fine, quando anche l’ultimo ubriaco è uscito, mentre il padrone conta i soldi, comincia l’unica parte vera della serata. Quella tragica. Quella che riempirà le pagine locali dei quotidiani. E’ allora che gli zombie che escono dalle catacombe il sabato sera si apprestano a farvi ritorno: si accomodano sui sedili in similpelle, sgommano, e via. Tragico bilancio anche questa settimana. E i soloni si interrogano, piangono, si stracciano le vesti. "Non ci sono più valori". Non è vero. I valori ci sono, o almeno i presunti tali. Ce li passano ogni sera in televisione, ogni giorno sui quotidiani, ogni giovedì sulle pagine patinate. E si chiamano successo, denaro, carriera. "Non fare il rappresentante di classe che i prof. ti prendono di mira. Fatti i fatti tuoi. Vivi e lascia vivere [che si legge: vivi e lascia morire]. Non mischiarti con i fascisti, con i compagni, con i ciellini, che papà ti compra la macchina nuova". Ecco servita la generazione dei polli d’allevamento: belli, robusti, con le piume lucide. Pronti a farsi massacrare. A morire; non in nome di una fede, di un’idea, ma vittime di una dannata pastiglia, di mezza bottiglia di Coca-buton. Liberi, liberi siete voi... Liberi di essere schiavi del peggior padrone: la propria debolezza, la propria noia, i propri maledetti limiti - accettati e glorificati, innalzati a virtù. Liberi di drogarsi, di affogarsi di birra, di buttarsi via. Ma perché non tentare di darsi una legge, di andare oltre sé stessi, di salpare per un’avventura ideale, per quanto rischiosa ? No. Babbo non vuole, mamma nemmeno. E allora via: un buon impiego, sedici valvole e cocaina. Ogni civiltà ha avuto dei miti, che ne incarnavano lo spirito, che ne rappresentavano il modello esemplare, storie, "fabule", che avevano il valore del paradigma. Ma allora, care le mie vestali del progresso, devo confrontare le vostre auto dagli interni in radica con il nero destriero Sleipnir ? Devo scegliere tra l’impero di Berlusconi ed il regno di Artù ? Devo raffrontare le vostre modelle belle e possibili che si vantano del loro fondoschiena alle vergini Walkirie ? Ogni epoca ha i modelli che si merita: sacri o profani, d’acciaio o di latta , puri o in svendita - al miglior offerente. Purtroppo, le Walkyrie non verranno a raccogliere tra le lamiere le vittime di una società che promette ciò che non può mantenere; una felicità che è come le pozzanghere che ti sembra di vedere sull’asfalto d’estate: ti sembra d’andarci incontro e invece si allontanano. Fino a quando ti accorgi che sono un riflesso, un inganno della tua vista. Più hai e più vorresti. Ma all’arroganza di chi ha e vuole avere puoi contrapporre la forza di chi è. E’ necessario scacciare i mercanti dal tempio che ognuno di noi rappresenta. E non basta sentirsi il disperato di turno nella cuffia dello smartfone e dire "che vita infame!". Bisogna avere il coraggio di alzare le vele, di prendere il mare. Arriveremo ad Avalon, o forse naufragheremo prima. Ma se anche dovessimo cadere, non sarà per aver rincorso il nulla, ubriachi, su un nastro d’asfalto. No. Affonderemo in piedi, sul ponte della nave, con il viso sereno illuminato dai lampi; protagonisti del nostro destino fino alla fine.