É una vera e propria costante, almeno nell’ultimo secolo e mezzo di storia americana: quella che vede una popolazione risolutamente isolazionista e pacifista, ripetutamente turlupinata da una dirigenza che obbedisce alle pulsioni interventiste e belliciste dei poteri forti di Wall Street e del Military-Industrial Complex, spesso in amorevole tandem con quelle della City londinese.
Ma non é questa la sola costante della politica estera statunitense. Ve n’é un’altra che, del pari, si ripete con drammatica regolaritá, e con riflessi pesantissimi in ogni paese del globo che abbia la sventura di trovarsi sulla strada della repubblica stellata. Questa costante é la piú totale, assoluta, cinica indifferenza per i popoli di quei paesi. E non mi riferisco soltanto ai popoli che a Washington considerano “nemici”, ma anche a quelli cosiddetti “amici”.
L’ultimo esempio é davanti ai nostri occhi. Quello del popolo afgano, che prima é stato aggredito, invaso e bombardato per permettere al Presidente del tempo – il simil cow-boy George Bush junior – di atteggiarsi a bullo da film western. Quello stesso popolo é stato poi sottoposto ad un paternalistico regime d’occupazione, prodigo nel far balenare davanti agli occhi di quei disgraziati i doni dello stile di vita occidentale: libertá personali, anche per le donne, un pizzico di benessere elargito a mo’ di elemosina, e un fiume di danaro che si perdeva nei rivoli di una corruzione istituzionalizzata, ma comunque con qualche positiva ricaduta anche sull’economia generale. E infine – quando ai nuovi Presidenti (da Obama a Biden, passando per Trump) é convenuto per ragioni di politica interna – quel popolo é stato abbandonato senza un attimo di esitazione, rigettato nella miseria, nell’arretratezza, nel dispotismo, nell’intolleranza piú ottusa da cui, vent’anni or sono, i benevoli marines lo avevano “liberato”.
Fine della “esportazione della democrazia”. La democrazia, infatti, si esporta solo quando conviene, quando é una comoda scusa per celare altri disegni e altri affari. Adesso ci sono nuovi popoli candidati a scoprire i vantaggi dell’export americano: gli iraniani in pole position, cosí saranno contenti anche gli israeliani.
Nulla di nuovo, intendiamoci. Gli umilianti “ultimi giorni di Kabul” non sono che un remake degli altrettanto umilianti “ultimi giorni di Saigon”, un film giá visto nel 1975. Quelli della mia generazione ricordano certamente lo spettacolo avvilente della evacuazione dell’ambasciata americana nella capitale sudvietnamita: il personale della piú forte potenza del mondo in fuga, imbarcati in tutta fretta sugli elicotteri atterrati sul tetto dell’ambasciata USA, e migliaia di vietnamiti respinti brutalmente dai marines e lasciati alla vendetta dei vietcong in arrivo. Anche lí, un popolo illuso, blandito, ingannato, e poi abbandonato ignominiosamente.
E, questo, per i popoli “amici”. Ai popoli “nemici” é andata – e va – molto peggio. La politica dei “liberatori” é stata – ed é – sempre quella di infierire su quei popoli per metterli contro i rispettivi governi, per premere per una resa che metta fine allo strazio e ai lutti di una resistenza agli americani. I metodi per ottenere ció sono due: uno piú brusco, quello dei bombardamenti indiscriminati; ed uno un po’ meno cruento, quello degli embargo, delle sanzioni, degli assedi economici, fatti decretare dall’ONU e che lasciano i civili a morire per stenti o per mancanza di medicine.
Nulla di nuovo sotto il sole. Anche noi abbiamo subíto prima le sanzioni degli inglesi (ufficialmente della Societá delle Nazioni) e poi i bombardamenti degli americani durante la seconda guerra mondiale. Intere cittá rase al suolo, morti a profusione , “effetti collaterali” terribili. Si pensi al bombardamento di Roma del luglio del ’43: 3.000 morti e 11.000 feriti, al solo scopo di fornire un “aiutino” al colpo-di-Stato che in quei giorni si preparava contro Mussolini. O si pensi alla strage di Gorla dell’ottobre ’44: un intero quartiere di Milano spianato dalle bombe dei B-24 “Liberator”, ivi compresa la scuola elementare e i suoi 184 bimbi sepolti dalle macerie.
Ai nostri alleati andó molto peggio. La Germania fu ridotta a un cumulo di detriti, con una strage di proporzioni bibliche (100.000 morti solo a Dresda, a guerra quasi finita). E l’irriducibile Giappone fu piegato con la bomba atomica di Hiroshima e – per buona misura – da una seconda a Nagasaki. Sono fatti che cito non per contrapporli ad altri orrori di cui furono responsabili i tedeschi, ma per rimarcare la costante indifferenza americana per la sorte delle popolazioni civili, considerate nient’altro che uno strumento per agire sui rispettivi governi.
Dico “costante”, perché il vizietto dei bombardamenti a tappeto gli americani non l’hanno mica perso con lo spirare della seconda guerra mondiale. Hanno continuato imperterriti: dal napalm sui villaggi vietnamiti fino alle recentissime “bombe intelligenti” (in veritá stupide oltre che criminali) sulla Serbia, sull’Irak, sulla Siria, sulla Libia.
E, quando non hanno bombardato, sono ricorsi a dei surrogati per ottenere gli stessi risultati: colpire la gente comune, perché questa si rivolti contro il governo in carica, perché chieda di cedere, di arrendersi per fare cessare le sanzioni, i blocchi, gli assedi economici. Giá, perché i vari blocchi per esportare la democrazia non si limitano al materiale strategico e militare, ma in molti casi riguardano praticamente ogni ámbito economico, compreso quello alimentare, compreso quello medico e farmacologico. Il caso forse piú triste é quello delle lunghissime e crudelissime sanzioni ONU contro l’Irak.
Per tacere di quelle contro Cuba, recentemente confermate da Biden, per indurre i cubani a rivoltarsi contro il regime castrista. Nel totale disinteresse – aggiungo per inciso – di quella imbelle sinistra occidentale che fino a ieri sbavava per i comunisti, per Fidel Castro, per il Che, eccetera, eccetera. Tutti zitti e muti, adesso che si é capito che i miliardari non amano piú i compagni.
Ma, torniamo a noi. Il popolo afgano é l’ultimo – in ordine di tempo – a beneficiare dell’esportazione della democrazia made in USA. Sará lasciato marcire nell’oscurantismo talebano. Tranne una scheggia di qualche centinaio di migliaia di profughi che sará scagliata contro l’Europa, per fungere da rinforzo all’invasione africana. E nessuno – qui da noi – che abbia il coraggio di dire che accogliere quelle migliaia di profughi spetti agli Stati Uniti, quale parziale (molto parziale) riparazione per essere andati, vent’anni or sono, ad esportare la democrazia in Afghanistan.
Michele Rallo