Volutamente abbiamo chiesto che questo brevissimo saggio fosse firmato dall'autore con l'indicazione della data e del luogo di composizione. In questo momento assistiamo, purtroppo anche nel nostro mondo, alla caccia al protagonismo, alla ricreazione di partiti e partitini, al triste e penoso spettacolo della corsa alle poltrone. Ed allora è importante, è eticamente pulito avere l'orgoglio di esserci, come uomini, come soldati politici. Con la consapevolezza dei limiti impostici dall'essenza umana e consapevoli del momento storico attuale. Non si tratta di riproporre storie che appartengono ad un altro contesto storico, non si tratta di idealizzare, santificare o giudicare. Si tratta di non disconoscere la nostra storia, con i suoi errori, con la sua tragica immensità
Assistiamo, in questi ultimi ternpi, ad una vasta operazione di recupero degli scrittori « collaborazionisti » francesi. Viene ristampato Céline, dai testi di Dríeu la Rochelle si traggono opere cinematografiche (« Una donna alla finestra »), ci si commuove per la fucilazione di Brasillach.
D’altra parte non poteva essere altrimenti, considerando la peculiarità che in larghissima misura la « cultura » letteraria francese del periodo fra i due conflitti mondiali fu « cultura di destra », « grosso modo » identificabile in due filoni. Il primo, espressione di una destra nazionalista e conservatrice, ebbe il suo massimo esponente in Charles Maurras, il grande scrittore e giornalista che diede voce al « paese reale » contrapposto al « paese uffìciale ». Egli varò uno fra i più fortunati ed importanti fenomeni politico letterari del nostro secolo, L’Action Franqaise, che fu eccezionale strumento di battaglia politica, ebdomadario d’altissimo livello, e stupenda fucina di talenti. Chi ora esamina, non certo a torto, le teorie Gramsciane sulla conquista del potere tramite la cultura e le indica, con gli opportuni aggiustamenti, come possibile via da seguire, forse dovrebbe porre l’accento anche sulla Action Franqaise
Al lato di questa, ed in alcuni casi come sua emanazione, nacque un’altra destra, quella dei Brasillach, dei la Rochelle, dei Cháteaubriant. Una destra briosa, vigorosa, affascinata dalla « poesia del XX secolo », dal « fascismo immenso e rosso », dalla religione dell’energia, dalla pratica e dall’efficenza abbinate alla ideologia. In breve costoro rompono con la « saggezza borghese che è la prudenza degli impotenti », diventano i cantori via via del fascismo italiano, del falangismo spagnolo, del nazional-socialismo e della necessità, dopo l’umiliante sconfitta francese del 39, di collaborare con la Germania e l’Italia per costruire un’Europa degna delle sue origini.
A questa élite di scrittori appartiene Lucien Rebatet.
A differenza però dei suoi più noti colleghi egli è ancora adesso un « maledetto », un caso da ignorare. In Italia praticamente uno sconosciuto, il suo nome scivola a volte, e senza alcun commento, in qualche dotta trattazione riferentesi a quel periodo storico, ma nulla più. Sulle riviste francesi, dove è più difficile ignorarlo, i commenti sono acidi o imbarazzanti; France-soire « ... Lucien Rebatet, che poteva essere affascinante a causa della sua prodigiosa erudizione », l’Aurore « ... Rebatet, critico musicale, di pittura e cinematografico di primo ordine, ammirevole romanziere dei Deux Etendards, è emerso dalle sue Décombres ».
Il motivo di tanto silenzio, di simile censura verso chi fu la penna più caustica e brillante del giornalismo francese è da ricercarsi nella « scomodità » di quest’autore. Rebatet lanciò i suoi strali con inaudita violenza, sia a destra che a sinistra; sferzò inesorabilmente i grassi perbenisti borghesi, l’arrogante altezzosità del clero, la miopia dei militari.
Per ciò che attiene alla bíografia di Rebatet è opportuno lasciar la parola allo stesso scrittore; infatti la seguente cronaca biografica è tratta dall’ormai quasi introvabile libro « Rebatet » edito nel 1968 dalle « Editions Universitaires », curato da Pol Vandromme ed è preceduta dall’annotazione: « Queste note ci sono state comunicate da Lucien Rebatet nell’autunno del 1966. Le pubblichiamo “tali quali”, poiché esse costituiscono un documento che non può fare a meno di interessare la storia letteraria ».
« Nato il 15 Novembre 1903 a Moras-en-Valloire (Dróme), paese a 15 chilometri dal Rodano e completamente al Nord di questo dipartimento (nulla a che vedere, per popolazione e paesaggio, con la parte provenzale al di sotto di Montélimar). Fisicamente non sono a mio agio che nel Mezzogiorno, e deploro che il mio paesino natale, ove ho conservato una casa (sebbene mi ci annoi orribilmente), non sia situato 100 o 150 chilometri più in basso. Ma intellettualmente io sono assai lontano dai Meridionali francesi. I miei veri compatrioti, con cui trovo affinità di gusti, sono Berlioz, nato a 25 chilometri dal mio paese, e soprattutto il grenoblese Stendhal.
Mio padre era notaio a Moras. Da parte sua ascendo completamente dal Delfinato. Da parte di mia madre, nata Tampucci, ho ascendenze del Poitou, parigine e italiane. Borghesi e piccoli borghesi nei due rami. Il personaggio più curioso fra i miei antenati era il mio bisnonno materno, Ippolito Tampucci, parigino, d’una famiglia di poveri emigranti napoletani. Suo padre era assistente di fisica al Liceo Carlo Magno. Dato che Ippolito dimostrava intelligenza, fu ammesso a seguire le lezioni del Liceo, a condizione che ne facesse le pulizie. Ebbe per condiscepolo e grande amico, verso il 1825, Gérard de Nerval. Avevo trovato nel granaio di Moras, sue lettere al mio avo, firmate Gérard Labrunie. Ignoro che fine abbiano fatto. Il mio bisnonno fu un pessimo poeta romantico (pubblicò alcune raccolte), ed un repubblicano infiammato, cosa che lo mise in contatto continuo con Victor Hugo, Michelet, Lamartine, Théophile Gautier. Le sue stravaganze politiche compromisero completamente la sua vita. Mori povero e molto vecchio, verso il 1890, in via del Cardinal-Lemoine. Invecchiando gli assomiglio abbastanza. Il mio amore per l’Italia, ove mi sento infinitamente meno straniero che nella provincia francese, ha forse a che vedere con questo atavismo (orrore profondo su di me della provincia francese, salvo le Alpi alle quali devo i miei soli bei ricordi d’infanzia, e dieci dipartimenti del Mezzogiorno. I miei sentimenti riguardo Lione sono più complessi, città a lungo detestata, ove morirei se dovessi vivervi, ma legata a troppi ricordi per non turbarmi)
. Studi secondari a Saint-Chamond presso i padri Maristi. Anni d’esilio morale e fisico in un luogo orrendo, un clericalismo di cui già avevo orrore, una disciplina feroce, che mi fu sempre intollerabile. Il reggimento, il bagno penale in confronto mi son stati leggeri. Anni rischiarati solo verso la fine dalla scoperta della poesia, Baudelaire, Rimbaud, Verlaine.
1921-1929:
Studi universitari assai slegati, dapprima a Lione, poi alla Sorbona (certificato di licenza in filosofia). Arrivato a Parigi nell’aprile del 1923, soprattutto per vedere il Louvre. Vita parigina di studente povero (istitutore alla scuola Bousset, via Guynemer), ma completamente libera, istruendosi freneticamente, senza alcun programma, con due o tre compagni scelti. Due anni e mezzo assai felici, i più ricchi della mia esistenza. Ho iniziato nel 1924 a tenere il mio diario che è oggi al suo 230 quaderno.
1927. Servizio militare nel 150° fanteria, in Germania (Diez-an-der Lahn). Soldato di seconda classe, perfettamente felice, non avendo sofferto né la promiscuità né l’addestramento del fante, molto duro in un reggimento d’élite. Poco rispetto per la gerarchia, ma grande tenerezza, che mi è rimasta, per il soldato. Scoperta nello stesso tempo del romanticismo tedesco (le grandi manovre nelle valli del Reno, della Mosella), e anche dei pericoli del pangermanesimo. Mi abbono durante il mio servizio all’Action Française, che mi colpiva già dai tempi del Quartiere Latino come il solo giornale leggibile, sebbene allora assai staccato dalla politica: un’ammirazione di principio per Mussolini, il disprezzo per la « sinistra », partecipazione a qualche cagnara dei Camelots du Roi.
1928-29. Impiegato d’assicurazione al più basso salario. Anni materialmente penosi, essendo morto mio padre nel 1926. Ma dilettantismo ‘ salvaguardato quasi ogni sera. Quartiere generale: Montparnasse.
1929-1940: L’Action Française. je suis Partout.
Aprile 1929: esordio nel giornalismo. Ingresso del tutto casuale alla « Action Française », per tenervi una piccola rubrica di concerti. Incaricato l’anno seguente dalla critica cinematografica di questo giornale (tre o quattro grandi colonne per settimana) sotto lo pseudonimo di Françoise Vinneuil. In più, segretario di redazione delle pagine letterarie dell’A. F., lunghi contatti a questo riguardo, due volte la settimana, con Charles Maurras. Legami amichevoli con Thierry Maulnier (di cui avevo subito predetto che sarebbe stato dell’Accademia) e soprattutto con Robert Brasillach, critico letterario del giornale a 22 anni, dal 1931. L’Action Française non esitava mai ad affidare le sue rubriche più importanti a giovanissimi. Da questo punto di vista, i miei immediati « padroni » al giornale, Pierre Varillon, Dominique Sordet, futuro direttore dell’agenzia di stampa collaborazionista Inter-France, erano meravigliosi scopritori di talenti. Non lascerò L’Action Française che al momento della mia mobilitazione, nel gennaio 1940.
A partire dal 1932 divento uno fra i principali redattori dell’ebdomadario « je suis Partout », originariamente giornale economico-diplomatico, di cui Pierre Gaxotte ha fatto rapidamente un organo affascinante ed un vivaio di giovani giornalisti. Tutti i dettagli della storia di « je suis Partout » sono in « Les Décombres ». Vi ho fatto una quantità di grandi reportage politici, uno in particolare presso Leon Degrelle nel settembre 1936. Brasillach diventa in quel momento redattore capo del giornale (io non ho voluto accettare il posto), Gaxotte resta suo direttore politico ed editorialista sempre più virulento.
Altre collaborazioni « alimentari », non essendo, né l’A.F. né J.S.P., giornali ricchi. Ho dovuto scrivere nella mia vita circa ottomila articoli, senza aver mai acquistato una vera facilità in questo lavoro. Mi capita ancora di penare su un testo come ai primi giorni.
Sposato il 14 settembre 1933 a Galatz (Romania) con Véronique PoPovici, giovane studentessa rumena conosciuta due anni prima al Quartiere Latino. Nessun figlio. Matrimonio perfettamente felice. Mia moglie è stata d’una fedeltà e d’una tenacità per la mia difesa al di sopra di ogni elogio durante i miei anni di prigione.
Nel 1938, dopo Monaco, capo informazione dell’Action Française, lavoro con Maurras tutte le notti.
Durante le mie vacanze in Alsazia, interrompo ai primi d’agosto del 1939 la redazione, intermittente dal 1936, d’un enorme romanzo politico e sociale, che doveva concludersi con la dichiarazione d’una nuova guerra mondiale... Manoscritto perso. Gli ho dedicato una piccola stele ne « Les Etendards » (pp. da 411 a 413, T. Il). Non avevo provato alcun bisogno di debuttare, come quasi tutti i miei amici, con un piccolo romanzo o un saggio. Non invidiavo loro questi libri troppo piccoli.
Mobilitato da gennaio a giugno del 1940 come soldato di seconda classe. Confrontare « Les Décombres », racconto rigorosamente esatto delle mie avventure militari. Appena rientrato dall’esercito, a Moras, ove mia moglie, mia madre e mia sorella si sono rifugiate, comincio torrenzialmente la stesura delle mie memorie, che saranno « Les Décombres ». Dalla metà d’agosto all’inizio d’ottobre, redattore alla radio di Vichy. Cf. « Les Décombres ».
1940-1944: la collaborazione. « Les Décombres ». Comincio « Les Etendards ».
Ritorno a Parigi con mia moglie nell’ottobre 1940. Capo del servizio politico e cronista teatrale al Cri du Peuple, il nuovo quotidiano di Doriot. Non mi abituo all’atmosfera « marxista spretato » di questa casa, non vi conserverò che il mio spazio teatrale (assai poco piacere per quest’attività). Vita materialmente e moralmente assai penosa durante il primo inverno d’occupazione, ove mantengo le distanze verso i tedeschi ed i politici francesi. Nel mese di gennaio del 1941, in una notte glaciale, la rilettura di documenti della mia giovinezza, che avevo conservato con la vaga idea di trarne qualche giorno un profitto letterario, mi getta in una prodigiosa eccitazione. Vi vedo la materia di un romanzo, tutta la sua parabola si disegna in un’ora o due. Sono talmente posseduto dal soggetto che per due giorni mi domando se mi devo gettare a testa bassa e di colpo in questo libro. Ma dopo riflessione, decido che devo prima di tutto terminare le mie memorie (terminare è un modo di dire, dato che non ho ancora scritto che cinque o sei capitoli). Voglio assolutamente portare questa testimonianza sulla fine della III° Repubblica e la disfatta francese. Mi rituffo in questo manoscritto (cambio del destino!) questo sarà per più di un anno l’essenza del mio lavoro, condotto senza soste, con la paura di non aver terminato prima di avvenimenti decisivi: sconfitta irrimediabile dell’Inghilterra in Africa, pace dettata da Hitler...
Riapparizione nel mese di marzo 1941 di « je suis Partout », dopo lunghe trattative, alle quali non ho preso alcuna parte, con i servizi tedeschi che ci sospettavano di maurrassismo. Gran successo del nostro giornale. Da una tiratura di 50/60.000 di prima della guerra, balza a 150.000 200.000 e raggiungerà 300.000 nel 1943. Vi pubblico reportage antivichy, editoriali, la cronaca cinematografica, etc.
Nel mese di giugno, l’ingresso dei tedeschi in Russia m’entusiasma, toglie tutti i miei scrupoli. A partire da quel giorno che divengo veramente collaboratore, e della specie più frenetica. I tedeschi che frequenterò saranno d’altronde tutti liberali, come Abetz ed i suoi amici, stupiti dal mio ardore nazionalsocialista come da un fenomeno esotico. Mi situo nettamente alla sinistra della collaborazione, anticlericale, antivichy, antisinarchista - L’uomo politico cui mi sento più vicino è Marcel Déat.
Nel dicembre 1941, sono invitato a Vienna per il 1500 anniversario della morte di Mozart. Dieci giorni d’ammirevoli feste musicali, malgrado le oscure notizie del fronte dell’Est, che scalfiscono poco il mio ottimismo.
Fine della stesura delle memorie in aprile 1942. Il manoscritto accettato a titolo di enormi tagli da Gallirnard. Rifiutato da Grasset, è preso da Denoél, l’editore belga di Céline, che sceglie il titolo « Les Décombres » (ha proposto « Devant les décombres » ed io ho sopresso il devant). Apparizione in luglio. La prima tiratura di 20.000 si esaurisce in alcuni giorni. Sarà il più grosso successo librario dell’occupazione, almeno 100.000 esemplari (e se ne sarebbero tirati il triplo senza la crisi della carta). Ma appena dopo aver firmato il mio servizio stampa, sono filato a Moras con una cassa di libri di teologia, per preparare il mio romanzo, che stimo aver infine il diritto di scrivere!
Sono la vedette della stagione letteraria 1942/43. Migliaia di persone alle mie sedute per autografi sul Boulevard Saint-Michel. Faccio conferenze davanti a sale colme, pranzo da Maxim’s, ceno dappertutto. Sono l’oracolo del cinema (grande amicizia con Jacques Becker). Il Tout-Paris non è affatto disgustato dalla virulenza del libellista. Trova ciò straordinario, ne domanda altri. Grande intimità con Brasillach, che non mi credeva capace di partorire 660 pagine e m’ha consacrato articoli strepitosi.
Nel mezzo di questo piccolo vortice ho solo potuto prendere il tempo di fare un rapido brogliaccio dei capitoli preliminari del mio romanzo, annunciato nelle « Décombres » con il titolo « Ní Dieu Ni Diable », ma che per me chiamo La Tbéologie Lyonnaise. Attacco seriamente la redazione di La Tbéologie, nel corso delle vacanze di Pasqua 1943, con il VI capitolo, Un piège de Dieu, sforzandomi, secondo la mia abitudine, di stabilire di primo acchito un testo definitivo, metodo lento ben inteso. Lavoro così a questo manoscritto, regolarmente, per più d’un anno, quasi tutte le notti.
Nel settembre 1943, scissione a « je suis Partout ». Brasillach, disperato per la caduta di Mussolini, lascia il giornale. Dopo lunghe esitazioni, assai penose a causa della mia amicizia per lui, rifiuto di seguirlo. Ho infine compreso che l’Asse non può più vincere la guerra, ma credo ancora che esista una possibilità di compromesso. In ogni caso, siamo andati troppo lontano per poter reculare. Il mio obiettivo principale è ora di terminare La Tbéologie prima di peripezie che rischiano d’essere assai funeste. Raffazzono editoriali ferocemente fascisti per J.S.P. e mi isolo per la maggior parte del mio tempo con i due miei ragazzi e la mia fanciulla.
All’epoca dello sbarco, nel giugno 1944, sono arrivato alle « Ephémérides du Péché Mortel ». Durante la battaglia di Normandia, mi diverto ad inventare la storia di Gaupette. Sono il signore al di sopra della mischia, ben sapendo che questa attitudine è troppo tardiva. Del resto collaboro con alcuni articoli virulenti agli ultimi numeri di « je suís Partout », che sono di pura bravata.
Lascio Parigi con mia moglie il 18 o 19 agosto in un convoglio di doriottisti, portando come principale bagaglio il mio manoscritto ed i documenti necessari per terminarlo.
Ci rifugiamo a settembre a Sigmaringen, ove troviamo Céline. Mi rifiuto alle caricature d’attività politica che mi si propone. Lavoro tutto l’inverno al manoscritto della Théologie, che spingo fino al XXVII capitolo.
1945-1952: le prigioni.
Sono arrestato dalla Sicurezza Militare l’8 maggio 1945 a Feldkírch (Austria). Mia moglie, rimasta libera, riesce ad affidare il mio manoscritto ad un giovane ufficiale d’aviazione francese che è fra i nostri amici politici e lo rimpatrierà per via aerea. Crepo di fame tutta l’estate nei campi. Sono trasferito a Fresnes all’inizio d’ottobre. Procedimento istruito presso il giudice Zoussmann, che vuole la mia testa nel più breve tempo possibile. Per altro, dato che la procedura si trascina, riprendo gusto alla vita. Cedo alle insistenze di uno dei miei più vecchi amici, Roland Cailleux, l’autore di Saint-Genes, che è persuaso che mi scongiura di terminare il mio romanzo.
Lavoro il 25 dicembre 1945, nella mia cella con un giovane bandito corso. Lavoro senza tregua per otto mesi, con una gioia e facilità eccezionali. Periodo estremamente felice, ove stilo i capitoli più caldi del secondo tomo. La vita carceraria è l’ideale per la letteratura. Verso la fine dell’estate, questo ritmo miracoloso si guasta, non mi rendo conto che il mio libro è terminato con l’ultima notte di Michel e di Régis a Lione. Stendo su quasi trecento pagine un epilogo nel quale m’impantano con nausea. (Devo quest’errore alla lettura dei Cbemins de la Liberté di Sartre).
Condannato a morte dalla corte di Giustizia di Parigi il 23 novembre 1946. Quattro mesi e mezzo di catene............... Graziato da Vincent Auriol il 12 aprile 1947.
Trasferito a Clairvaux (lavori forzati a vita) nel maggio 1947. Clairvaux è ancora a quest’epoca un inferno stupido. Noi vi sopravviveremo e riusciremo per la maggior parte ad uscirne intatti solo grazie alla nostra perseverante ed abile lotta contro l’amministrazione penitenziario. Soffro abominevolmente d’essere separato dal mio manoscritto, che sò impubblicabile nella forma in cui l’ho lasciato al mio avvocato. I miei « lavori forzati » sono tutto sommato igienici: 25 chilometri al giorno spezzando scarpe per l’esercito girando in un cortile fortunatamente assai grande. Sono chiuso ogni sera alle sei in una cella a rete di ferro (gabbia di polli) di due metri per due, ma rischiarata, ove ci si trova finalmente soli. Vi redigo parecchie centinaia di pagine per un seguito alle « Décombres ». Ma tutti i miei pensieri vanno alla Tbéologie per la quale accumulo nuovi appunti.
Riesco infine nel mese di novembre 1949 a far entrare clandestinamente in prigione, grazie ad un salumiere che approvvigiona il nostro spaccio, il dattiloscritto completo del mio romanzo (2.000 pagine). Posso rileggermi con un meravíglioso distacco, come se il mio testo fosse quello di un estraneo. Vedo chiaramente i pregi, ma anche gli errori, le lacune. Cancello d’un tratto le trecento pagine completamente inutili dell’epilogo Sartriano. Porto ogni giorno con me, da un capo all’altro della prigione il mio monumento in due enormi tascapani. Dieci mesi di lavoro accanito, spesso assai difficile, ma sempre appassionante. Riplasmo quasi completamente una decina di capitoli, in particolare quelli delle discussioni religiose che mi sforzo d’inserire nella trama del racconto. Dò molto più « presence » al personaggio di Anne Marie, cui avevo fatto dire cose che, sò inammissibili, ora che ella mi vive vicinissima. Divento bibliotecario della prigione, cosa che mi procura diversi vantaggi materiali per le mie necessità.
Il manoscritto completamente battuto lascia infine Clairvaux, sempre tramite salumiere, il 28 settembre 1950. Mia moglie lo porta alla N.R.F. all’inizio del 1951. Attendendo impazientemente l’apparizione dei Deux Etendards (ho trovato questo titolo durante il rimaneggíamento), inizio un romanzo sulla collaborazione, per il quale ho alcune idee assai curiose, ma la fiamma non è più la stessa.
Apparizione dei Deux Etendards nel febbraio 1952. L’Argus di stampa, che il direttore di Clairvaux, bruto neolitico da noi ammansito, mi ha permesso di ricevere, mi delude crudelmente. Salvo Bernard de Fallios che mi ha dedicato un articolo quasi troppo lirico, null’altro che insulsaggini da lettore distratto, tutti eludono il dibattito che il libro mi sembrava richiamare.
Principale beneficio all’uscita del libro: accelera la mia liberazione, il 16 luglio 1952, dopo sette anni e due mesi di prigione.
1952-1966:
Esistenza semi-miserevole con mia moglie in un villino di Monthorency. La mia sola soddisfazione è di veder manifestarsi un certo numero di giovani lettori dei Deux Etendards, assai più intelligenti dei critici.
Paulban mi chiede un racconto per la N.R.F. Scelgo un episodio d’un vasto progetto storico. Questo diviene « Les Epís Múrs », scritto di getto in tre mesi nell’estate 1953, e di cui non mi dissimulo le elementarità ed i vuoti. Sono stato divertito dalla sfida d’un libro ove si sarebbe parlato di musica come musicisti, mai come letterati, e dal paradosso di scrivere un libro unicamente su ricordi dopo nove anni di completo digiuno musicale, di cui avevo enormemente sofferto (temevo talmente di non poter più ritrovare la musica dopo questo digiuno che non avevo rimesso piede al concerto od al teatro. Non ho avuto un fonografo che dopo aver terminato il mio piccolo libro).
Apparizione delle « Epis Múrs » nella primavera del 1954. Stampa più favorevole che per gli « Etendards! ». Mediocre successo di vendita, a causa in parte degli scadenti servizi commerciali della N.R.F. L’anticipo di Gaston ci ha peraltro permesso di installarci di nuovo a Parigi.
Ho scritto nel 1954-55 una specie di prosopopea di 500 pagine, autobiografica, sarcastica, pacifista, anche avveniristica, Margot l’Enragée, in cui non ho mai creduto. Paulhan la trovava buona e voleva pubblicarla. Gaston Gallimard ha giudicato che non era straordinaria. Era giusta la mia opinione. L’ho ficcata in un cassetto.
Ho intrapreso in seguito un gigantesco romanzo dai numerosi personaggi, essenzialmente politico, che potrebbe intitolarsi La Lutte Finale. L’ho tentato in parecchie versioni con narratori differenti. Vi ho enormemente lavorato, almeno 1.500 pagine di manoscritto. Ho quasi tutta la « totalità » del libro, ma in quattro o cinque forme, di cui nessuna mi ha realmente soddisfatto. All’inizio dell’anno scorso, avevo iniziato un « mixage » di tutte queste versioni che risultava assai buono. Ma ho ricevuto in quel momento l’ordinazione di una voluminosa Istoire de la Musíque, che compensava al punto giusto un’importante collaborazione « alimentare » appena persa. Non ho creduto doverla rifiutare. Penso di concludere questo assorbente lavoro prima della fine dell’anno. Riprenderò allora La Lutte Finale? Non lo sò ancora. Ciò dipenderà dalla mia rilettura del manoscritto. Qualsiasi altro uomo di lettere avrebbe pubblicato Margot ed uno o due volumi di La Lutte Finale, che si presta ad essere suddivisa. Ma io sono assai poco un uomo di lettere. La letteratura, è per me un manifesto come Les Décombres (ma in nome di che oggi manifesterei?), o il lusso e la gioia, come Les Deux Etendards. Ma da quando ho terminato Les Etendards a Clairvaux, non ho più realmente provato questa gioia. Ho ancora peraltro molte cose da dire. Ma non sono completamente persuaso che necessitino della forma romanzesca. E poi, non ho superato l’età in cui si possono ancora creare dei romanzi? Non vorrei neppure deludere dopo Les Deux Etendards, di cui sono assai fiero. D’altra parte ho la nostalgia dei giorni in cui si è immersi in un libro che procede bene. Sono i più bei momenti della vita (con l’amore quando si è giovani). Vi sono pezzi eccellenti nella Lutte Finale. Li si pubblicherà forse dopo la mia scomparsa, come « disiecta membra »... Avrei avuto bisogno della grande pace carceraria per portare rapidamente a termine un tale lavoro.
Ho ripreso alcune collaborazioni dal 1954, dapprima in giornali che sono falliti senza pagarmi, poi a Rívarol (ove sono entrato a causa dei fatti d’Algeria), agli Ecrits de Paris, allo Spectacle du Monde. Ho imparato l’inglese traducendo una Histoire de la Musique Espagnole dell’irlandese Starkie. Ho molto sgobbato, per un modesto profitto, con una rassegnazíone interrotta da accessi di rabbia. Valevo di più, lo sò. Ma non si è cospirato per chiudermi il becco? Spero peraltro di non aver detto le mie ultime parole, e queste cadranno da molto in alto ».
Possiamo immaginare Rebatet, giovane studente squattrinato, frequentare la rive gauche, il parco del Lussemburgo, Saint Germain des Pres, Montparnasse, respirarne l’aria frizzante, satura di gogliardía e di gusto guascone. Queste passeggiate saranno spesso interrotte da sconfinamenti sulla riva destra per visitare il Louvre, ammirarne in religioso silenzio le opere d’arte: « dimentico le teorie filosofiche, la trama dei romanzi, mentre ho in testa diecimila quadri con il loro pedigree e non sò quante opere e spartiti. Vermeer, Breughel, Greco, Possin, Velasques, Giotto e Wagner, e Mozart, m’hanno insegnato più di centomila libri illustri ». Musica e pittura perciò le sue grandi passioni.
Il passo decisivo che porta alla precisa scelta di campo scocca ad una data fatidica per i nazional-rivoluzionari francesi, il 6 febbraio 1934, in occasione della grande manifestazione di piazza della Concordia, ove il regime spazzò con la violenza l’anelito di pulizia e rinnovamento della gioventù francese. E il sangue dei caduti, che arrossò financo il bianco obelisco della piazza, segnò la rottura netta con il passato borghese e plebeo. Quei morti di febbraio, quelli stessi cui Brasillach (che, ricordiamo la fatale coincidenza delle date, fu fucilato al forte di Montrouge ad undici anni esatti di distanza, ( su entrambe le edizioni italiane dei Poemi di Fresnes, per un refuso tipografìco, viene erroneamente indicato «dodici anni» al posto di «undici anni» ) il 6 febbraio del 1945, dedicò una delle sue più commoventi poesie
Aux morts de février
Les derníers coups de feu continuent de briller
Dans le jour indistint où sont tombés les nótres.
Sur onze ans de retard, sarai-je donc des vótres?
je pense à vous ce soir, 6 morts de Février.
5 Février 1945
Ai morti di febbraio
Le ultime fucilate continuano a lampeggiare
Nel giorno nebbioso, nel quale sono caduti i nostri.
Con undici anni di ritardo, sarò dunque fra voi?
A voi penso stasera, o morti di febbraio.
5 Febbraio 1945
che scossero, violentarono quasi le coscienze degli intellettuale; fra i migliori la scelta fu quasi unanime (fra le poche eccezioni la più notevole fu forse quella di André Malreaux, combattente in Spagna con le brigate internazionali e successivamente con i maquis francesi).
Il soggiorno a Sigmaringen, ove vive la grama esistenza degli esiliati francesi, è allietato dalla possibilità di accesso agli 80.000 volumi della biblioteca del castello degli Hohenzollern, ove con grande gioia può prendere visione dei preziosí volumi di storia della pittura italiana del Venturi e dei grandi studi sulla pittura tedesca. La monotonia dell’esilio è rotta, nel novembre 1944, dall’arrivo di Céline « le plus grand de nous tous ». Sul soggiorno del medico-scrittore Rebatet redigerà un piccante articolo apparso sul n° 23 di L’Herne nel 1963.
Rebatet muore il 24 agosto 1972 a Moras-en-Valloire.
Fra le sue opere, tutte voluminose, due spiccano particolarmente: Les Décombres e Les Deux Etendards.
Les Décombres, come indica il nome, illustrano la situazione francese dopo l’umiliante sconfitta ed analizzano acutamente le cause che condussero a tale crollo.
I primi lettori del testo, ancora dattiloscritto, furono i colleghi di je suis Partout e, primo fra tutti, Robert Brasillach che lo divora in quattro ore, ne è entusiasta (sebbene non ne condivida gli attacchi contro Maurras) e lo presenta a grandi titoli sul giornale. Non sarà però facile scovare un editore che accetti di pubblicarlo integralmente; alla fine questo si troverà nella persona di Denoél. Il testo vede la luce nel luglio del 1942 ed il successo è immediato; a Rebatet che si era ritirato con la moglie a Moras per preparare l’altro suo capolavoro, giunge la lettera di Brasillach: « Mio caro Lucien, è il trionfo. Gli studenti ti leggono ad alta voce, ti recitano in circolo sulle terrazze e nelle strade del Quartiere Latino. Fortunato mortale! Hai fatto un gran libro e diventerai milionario ».
Come spiegare questo successo limitato solo dalla scarsità della carta per stampare? Certo con il fervore che pervade tutto il libro, con la violenta brutalità con cui l’autore usa la sua capacità letteraria per attaccare i responsabili dello sfacelo. La passione politica e lo spirito di propaganda dominano tutto il testo, ne fanno un concentrato esplosivo di 664 pagine che defiagrando lascia attoniti, stupiti eppure ammaliati i suoi concittadini. Un grido, un j’accuse non certo vuoto e non solo pessimista: « I ricordi dei giorni di vergogna sono crudeli anche da rimuginare. Per altro, non sono disperato. Ma dopo aver dipinto tante ignominie, passate e presenti, per sfuggire alla disperazione; occorre guardare davanti a sé ».
L’edizione originale, rapidamente esaurita, è stata a lungo un classico della clandestinità; recentemente è stata ristampata, dall’editore Pauvert, come primo volume di Les Memoires d’un lasciste, purtroppo in una versione parzialmente censurata, il secondo volume, postumo, è composto da ricordi che corrono il periodo dal 1941 al 1947. Prossimap mente apparirà in italiano, a cura delle edizioni Barbarossa, una versione tratta dall’edizione integrale di Denoél.
Altro grande capolavoro, pubblicato da Gallimard nel 1952: Les Deux Etendards. La loro trama la possiamo trarre dalla presentazione che accompagnava la prima edizione del testo:
« Michel è un ragazzo di vent’anni, vecchio scolaro dei Padri, ardente, intelligente e povero, che sbarca a Parigi negli anni 1920 per terminarvi i suoi studi. Scopre Parigi: musica, pittura, teatro, letteratura, ed il piacere. Vi è di che invidiarlo, quando interviene un avvenimento che lo fa cambiare di direzione. Il suo amico Régis, rimasto a Lione, l’in forma che vuol diventare prete, e pure gesuita, e, nello stesso tempo, che ama una giovane ragazza chiamata Anne-Marie. Quando Régis entrerà in seminario, Anne-Marie inizierà il suo noviziato in un ordine femminile. L’evocazione dell’amore mistico e puro, ma bruciante, che li unisce, sconvolge a tal punto Michel che s’innamora di Anne-Marie appena l’incontra. Il solo modo di raggiungere Anne-Marie gli pare essere quello di raggiungere nello stesso tempo Régís e Anne-Marie nella loro avventura spirituale. Michel cerca dunque di convertirsi, ma vanamente. Non osa per altro confessare la verità - e il suo amore per Anne-Marie - che il giorno in cui Régís e Anne-Marie si separano. La sottomissione di Régis ad un ordine puramente esteriore pareva ad Anne-Marie un tradimento. Ella si rigetta verso Michel e si lascia finalmente espugnare da lui. Ma Michel è un essere a cui la terra è sufficiente, Anne-Marie una di quelle creature che sono perse quando hanno perso il loro Dio. Régis ed il suo Dio trionfano, ma sulle rovine di qualsiasi felicità umana ».
Il titolo originale dell’opera doveva essere La Théologie Lyonnaise, poi fu preannunciata sulle Décombres come Ni Dieu ne diable, ed infine pubblicata con il titolo di Les Deux Etendards, si dice per evitare di generare confusione con Le Diable et le bon Dieu di Sartre.
La figura di Michel è in larga misura autobiografica; anche Rebatet prima di raggiungere Parigi aveva a lungo soggiornato a Lione. L’opera è un crogiolo di dibattito teologico, romanzo d’epoca, storia d’amore e trattato politicoideologico.
Per presentare Rebatet al lettore italiano ho ritenuto av valermi di un suo articolo, apparso sul d 21 del Crapauíllot del giugno 1953, in cui tratteggia il suo processo, la sua condanna e descrive con cruda lucidità i 141 giorni passati con le catene ai piedi nella cella dei condannati a morte in Fresnes, la prigione tristemente nota, nella spasmodica attesa di partire per l’ultimo appuntamento al forte di Montrouge o di ottenere la commutazione della pena. Nonostante tutto egli ci mostra come i giorni di carcere possano anch’essi essere proficui, dal carcere infatti uscirà il testo definitivo dei Deux Etendards, che sarà indicato come uno dei rari capolavori letterari del dopoguerra.
Mi auguro che questa scelta risulti gradita. Certo colui che, come chi scrive, è impregnato di religiosità, quale che sia la religione in cui si identifica, non può non rimanere turbato davanti alla reiteratamente proclamata areligiosità di Rebatet. Un’areligiosità in parte colmata e sostituita dalla passione politica; ma proprio un altro grande scrittore fascista Drieu la Rochelle, ci ricorda:
« La politica, così come la intendono da un secolo a questa parte, è una ignobile prostituzione delle alte discipline... Chiamano ideologia ciò che resta agli uomini di religione e di filosofia. Un pezzettino di mistica incrostata di razionalismo ».
Vandromme ci indica la possibile risposta dell’autore degli Etendards:
« Almeno questa fede (la sua e di Michel) è aristocratica, e questa morale quella dei signori; mentre il cristianesimo non è che la religione degli schiavi ».
Rebatet è, in ogni caso, certamente un autore ammirevole per il suo stile (ci ricorda la schioccante grintosità di Céline fusa al bel linguaggio di Brasillach), per la sua costanza ed il suo coraggio. Uno scrittore tutto da scoprire e meditare.
ROGNONI Giancarlo Carcere di Saluzzo ottobre 1980.