Il tutto risale a una cinquantina di anni fa.
Due giovani missini, Tanino Cannata e chi vi scrive, affascinati dal “poeta soldato”, da questo uomo che rappresentava l’immagine dell’individualismo, del superuomo nietzschiano e nel contempo appariva espressione totalizzante dello spirito comunitario, della condivisione avvolgente e completa senza distinzione di casta o di censo (ricordate “siamo trenta su tre gusci, su tre tavole di ponte … siamo trenta d’una sorte e trentuno con la Morte”). Per noi, in fondo inguaribili romantici, D’Annunzio non poteva non essere il nostro mito; il soldato che aveva raggiunto tutti gli obiettivi, il poeta che non aveva solo composto rime, lo scrittore che aveva con le sue pagine reso visibile il funerale di Wagner in una Venezia fuori dal tempo, il vate che si era inventato una nazione, uno stato con i suoi riti, le sue leggi. Su una sua “iniziativa” in particolare volevamo redigere un piccolo saggio e farlo circolare nelle nostre sezioni di partito. Riguardava gli uscocchi. Solo un poeta poteva scovare fra le pieghe della storia, sepolti sotto la polvere di centinaia di anni, questi avventurosi guerriglieri del mare e rivitalizzandoli far loro vivere il mito della Fenice.
Il nostro progetto rimase purtroppo lettera morta; Tanino però volle comunque lasciare una traccia del legame che ci univa al poeta ritiratosi al Vittoriale e mi diede da pubblicare copie di questi scritti di proprietà di un suo familiare e che offrimmo alla condivisione di tutti. Ecco la piccola storia di queste due lettere che in fondo non sono che l’espressione del filo lieve ma indistruttibile che unisce una comunità.
Giancarlo