In questo mondo frenetico che tutto consuma e tutto brucia fermarsi un attimo e riflettere seriamente su quali furono le radici della Patria Europa non pò che essere imprescindibile e non per un esercizio di erudizione ma per comprendere quale futuro ci aspetta se sapremo ben interpretare lo spirito degli Indoeuropei
Dal n. 35 di 'Margini' del luglio 2001, riportiamo un articolo di F. Sandrelli su un testo di studi indoeuropei.
Oggi si parla spesso, forse con scarsa cognizione di causa, di recupero o salvaguardia della propria identità etnica, storica e culturale come reazione alla minaccia rappresentata dall’anonimia della società postindustriale e dal tentativo di annullare ogni differenza e specificità in un confuso progetto politico, economico e sociale variamente definito come globalizzazione, mondialismo, società multiculturale. Interrogarsi sulle origini, cercare di dare un volto al nostro più remoto passato è però operazione assai ardua, tanto più se essa non si risolve soltanto in un’indagine scientifica ed erudita, ma ambisce a riconoscere le "nostre radici più profonde", nella consapevolezza che di quanto i nostri antenati "pensavano e credevano, dei loro costumi e dei loro valori, resta in noi molto di più di quanto a prima vista si possa sospettare" . Questo, in definitiva, dovrebbe essere il senso di una ricerca sugli Indoeuropei, su quel popolo "barbaro", privo di scrittura e di una cultura raffinata che secondo l’ipotesi più accreditata, abbandonò in vari momenti della Preistoria la propria "sede originaria" la cui collocazione non è stata ancora stabilita con esattezza dagli studiosi, per invadere a ondate successive un territorio immenso, esteso dall’Atlantico all’India, e differenziarsi in seguito in una serie di popoli -Germani, Slavi, Celti, Latini, Greci, Arii, etc.- di cui rimane una precisa documentazione storica.
Una guida preziosa in questa ricerca delle origini la offre il saggio di Jean Haudry, che ricostruisce un quadro "virtuale" dell’originaria comunità indoeuropea, dei suoi valori, delle sue istituzioni e della sua organizzazione sociale, e cerca poi di situare quella stessa comunità in un più preciso contesto temporale, geografico e antropologico.
Sin dalle prime pagine del suo studio, Haudry ci avverte che quella relativa a una comunità indoeuropea preistorica è soltanto un’ "ipotesi di secondo grado", dipendente dall’ipotesi principale di una lingua originaria, il proto indoeuropeo, di cui non ci restano attestazioni scritte. L’esistenza di questa lingua viene postulata da almeno due secoli dalla linguistica storica e comparata per spiegare le numerose affinità morfologiche tra i vari idiomi indoeuropei. Su tale questione, il consenso degli studiosi non è però del tutto unanime; gioverà ricordare, per esempio, lo scetticismo di Spengler, secondo cui parlare di un "indoeuropeo originario" rappresenterebbe una deduzione arbitraria dei filologi, poiché inizialmente non vi sarebbe stata un’unica "lingua", ma un ammasso caotico di "innumerevoli dialetti", non solo indoeuropei, di cui solo pochissimi sarebbero sopravvissuti nella forma scritta . Tuttavia, al di là delle semplici affinità e parentele linguistiche sembra certo che esista, comune alle varie stirpi indoeuropee, una caratteristica forma di pensiero, un’ "ideologia" che permea ogni aspetto della loro cultura. Com’è noto, il grande merito di aver compreso e illustrato l’ideologia indoeuropea della "tripartizione funzionale" va a Georges Dumézil, a cui Haudry fa costante riferimento nel corso della sua analisi, in cui trovano spazio anche i metodi della paleontologia linguistica5 e lo studio del materiale epico-leggendario di area indoeuropea.
Secondo la celebre ricostruzione di Dumézil, gli Indoeuropei riconducevano ogni ordine della realtà alle tre "funzioni" della sacralità-regalità, dell’attività guerriera e della produzione-riproduzione. Il modello si applica innanzitutto e in modo precipuo alle concezioni cosmologiche e alla sfera del sacro, di cui le istituzioni sociali e giuridiche non sono che un riflesso. A proposito di questo rapporto tra realtà metafisiche e ambito temporale, Haudry parla di visione "sostanzialista" dell’universo, spiegando come "Presso gli Indoeuropei ogni idea […] tende ad assumere una forma fisica; ogni principio si incarna. Gran parte del loro pantheon trae origine da questa tendenza ad ammirare soltanto idee viventi e pensieri vissuti." (p. 27). In un contesto in cui la vita e i valori della comunità hanno assoluta preminenza sulle preoccupazioni individuali, anche la "gloria" del singolo eroe ha dimensione politica, poiché essa è legata alla reputazione sociale e alla "fama" che solo il canto dei poeti può garantire (p. 33). Garanti di un ordine cosmico fondato sulla "verità" (intesa anche in senso giuridico come "retto giudizio" , "via retta", assetto ordinato della società, rispetto del proprio ruolo, accettazione della parte che il destino ha assegnato a ciascun individuo) divengono così nell’India vedica e nell’Iran avestico Mitra/Contratto e Varuna/Giuramento. Queste due divinità della prima funzione rappresentano a loro volta i due aspetti del "sacro" su cui si è soffermato anche E. Benveniste : quello oscuro, tenebroso, inaccessibile (Varuna) e quello benefico e amichevole, che si lascia avvicinare dagli uomini (Mitra). È interessante notare che -a parere di Haudry- questa duplice sovranità deriva da una suddivisione arcaica del pantheon indoeuropeo, anteriore a quella fondata sulle tre funzioni, articolata sui cicli cosmici (l’alternarsi di tempi e stagioni) e sui tre cieli (il cielo diurno, l’aurora-crepuscolo, e il cielo notturno). Riflesso evidente di questa antica strutturazione della religione indoeuropea, è il pantheon greco, le cui divinità si inseriscono meglio in un contesto cosmico (Zeus è, al pari di Juppiter e di Mitra, il dio del cielo diurno) che trifunzionale. Sembra comunque certo che la principale divinità indoeuropea fosse un dio solare maschile legato al culto del fuoco o un signore del tuono e della folgore, incarnazione dei valori eroici dell’aristocrazia guerriera.
A riprova ulteriore dell’analogia simbolica tra universo, mondo soprasensibile e società umana sta il fatto che le caste indiane dei brahman (sacerdoti) degli ksatrya (guerrieri) e dei vaysia (artigiani) – a cui corrispondono significativamente le tre classi della città-stato di Platone - vengono anche definite con gli stessi colori (bianco, rosso e nero) dei "tre cieli" e che nella mitologia dei Veda e in quella germanica (Canto di Rig) caste e classi sociali derivano dalle membra di un essere primordiale gigantesco (Purusa) o dall’unione di un dio con una donna mortale. Responsabile supremo dell’ordine e del benessere della società e del favore degli dei è il re. Inizialmente capo dell’aristocrazia guerriera della tribù, egli si caratterizza in seguito in senso magico-sacerdotale e, sebbene sia garante del benessere del popolo e "indispensabile al successo delle operazioni militari" (p. 83), egli ne rimane però estraneo. Esaminando la struttura della società indoeuropea che si articola –come ha chiarito Benveniste- nelle "quattro cerchie dell’appartenenza sociale" (famiglia-villaggio-clan-tribù) dominate ciascuna da un capo-padrone, si comprende ancor meglio come la sfera politico-sociale trascenda sempre quella individuale: l’individuo, infatti, viene concepito esclusivamente come l’anello transitorio di una realtà perenne, la stirpe, la schiatta, il lignaggio. A questo riguardo risultano particolarmente significative le osservazioni di Haudry sulla natura patrilineare della famiglia indoeuropea e sull’endogamia che caratterizza il sistema di caste indo iranico (p. 138). Scopo principale della famiglia è quello di assicurare una discendenza al padre e di evitare che eventi disastrosi come la suppositio pueri (la "sostituzione" di un figlio legittimo, con uno illegittimo all’insaputa del padre) o la nascita di un figlio bastardo interrompano il "culto della stirpe". I rapporti sociali sono caratterizzati invece dalla "solidarietà nella diversità" (p. 75) tra le varie classi funzionali e i vari gruppi di età, mentre alla "lotta di classe" si sostituisce un conflitto tra i gruppi sociali che assume spesso la caratteristica di una remota "guerra di fondazione" (leggenda del "ratto delle Sabine", guerra tra Asi e Vani). Solo in seguito la divisione artificiosa tra ricchi e poveri -causata dall’introduzione della moneta- si sostituisce a quella "naturale" determinata dal proprio rango e dalle proprie virtù. In ogni caso, precisa Haudry, "Gli Indoeuropei escludevano, in materia di governo, la legge del numero sotto tutte le sue forme, sia democratiche che plutocratiche." (p. 80).
Passando ad analizzare la funzione guerriera nel suo duplice aspetto "feroce" e "cavalleresco", l’Autore ci ricorda che la "la guerra, principale occupazione dell’aristocrazia," (p. 131) è la condizione normale della società indoeuropea e che il legame determinato dalla fedeltà al capo, all’interno di gruppi di guerrieri (Männerbünde) è superiore persino a qualsiasi altra forma di attaccamento sociale (sangue e suolo). Nel caso del mondo germanico, più che di un "esercito di professionisti" è lecito parlare di una "nazione in armi" perché questa -secondo Tacito- coincide con l’aristocrazia dei nobili e degli uomini liberi (p. 130), mentre la classe dei produttori rimane in posizione assolutamente subalterna.
Meno ampia è invece la parte in cui Haudry cerca di assegnare a un "popolo reale" i connotati di quella cultura virtuale che ha ricostruito in precedenza. Si tratta, in sostanza, di collocare nel tempo e nello spazio la comunità primordiale indoeuropea e di individuarne le caratteristiche antropologiche: questioni di enorme difficoltà e al centro di un acceso dibattito accademico, viziato spesso da idee preconcette, pregiudizi e fattori di ordine extra scientifico. A ogni modo, le risultanze fornite dalla paleontologia linguistica ci consentono di individuare con relativa precisione l’ecosistema (clima, flora e fauna) dell’ultima sede comune degli Indoeuropei, che andrebbe situata in una zona dell’Eurasia a clima temperato-freddo9 . Escluse, per vari motivi, le ipotesi relative ad aree geografiche quali l’Europa centrale e la Mesopotamia settentrionale, Haudry attira la nostra attenzione sulle tesi della Gimbutas, che ha goduto del maggior credito negli ambienti scientifici. Com’è noto questa
studiosa, basandosi a sua volta sulle ricerche precedenti di autori quali O. Schrader, V.G. Childe e T. Sulimirski, ha identificato il nucleo primordiale degli Indoeuropei nella cosiddetta cultura kurgan (termine russo che significa "tumulo tombale") originaria delle steppe della Russia meridionale, che si estendono tra il mar Nero e il mar Caspio. Da questa zona, popolazioni bellicose di pastori seminomadi, portatrici della cultura della ceramica a corde, del carro e dell’ascia da combattimento e caratterizzate da un’organizzazione sociale patriarcale e gerarchica avrebbero invaso in tre ondate successive -dalla metà del V millennio al III millennio a.C.- tutto il continente europeo, sovrapponendosi alle precedenti culture della "Vecchia Europa" balcanica e pelasgica, caratterizzate da una società matriarcale, agricola, sostanzialmente egualitaria e pacifica in cui si era sviluppato il culto di una "grande madre". L’antitesi più netta di questa forma di religiosità tellurica, legata alla fertilità della natura e della donna, è appunto la concezione virile, solare ed eroica del cosmo tipica degli invasori indoeuropei.Quanto ad Haudry, egli in un primo tempo afferma che l’esame del lessico di area indoeuropea relativo alla metallurgia porta a "situare la fase iniziale della comunità indoeuropea almeno al Neolitico antico e quella terminale nel periodo più recente del Calcolitico" (p. 152), ma sembra poi propenso a collocare la formazione di quella comunità addirittura nel Paleolitico superiore (p. 164). Circa la localizzazione della Urheimat indoeuropea, lo studioso francese riconsidera con attenzione l’ipotesi, già avanzata da autori quali G. Kossinna, P. Thieme e L. Kilian che collocarono nelle regioni dell’Europa settentrionale (Germania del nord e Scandinavia meridionale) il focolare ancestrale di quel popolo. Al proposito, egli cita F. Bourdier, secondo cui il "lontano sostrato degli Indoeuropei" sarebbe costituito dalle popolazioni di cacciatori di renne che, al termine dell’ultima glaciazione Wurmiana (attorno al 9000 a.C.), si spinsero verso il nord dell’Europa, verso le pianure liberate dai ghiacci (p. 163). L’ipotesi di una Urheimat nordica sarebbe, tra l’altro, suffragata (come hanno sostenuto alla fine dell’Ottocento L.G.B. Tilak ed E. Krause) dalla testimonianza di testi mitologici celtici, germanici e indoiranici in cui si sarebbe conservato il ricordo dell’antica patria artica, da cui gli Indoeuropei sarebbero migrati in un’epoca antichissima a causa di una glaciazione o di una catastrofe naturale. Al proposito gioverà ricordare che dell’origine polare della "razza iperborea", lontana progenitrice delle genti arie, si è occupato spesso -in una prospettiva tradizionalista- anche Julius Evola.
All’interrogativo su chi fossero gli Indoeuropei, Haudry risponde invece esaminando una serie di dati archeologici (esami di scheletri e di crani) e di fonti letterarie e iconografiche che sembrano attribuire a quel popolo, o almeno alla sua classe superiore, i tratti fisici (carnagione chiara, capelli biondi, alta statura, dolicocefalia) che contraddistinguono la razza nordica, smentendo così chi si ostina a ripetere che la "nozione di ‘indoeuropeo’ implica semplicemente una omogeneità linguistica, non razziale.".
La riflessione sulle cause delle migrazioni indoeuropee (p. 164), attribuite più che a fattori demografici o climatici a quell’"amore per gli spazi aperti" e a quella "volontà di dominio" che ben si conciliavano col "carattere di signori" degli Arii, ben rappresenta, a nostro avviso, il valore di quest’opera. Essa, restituendoci un’ immagine viva del popolo indoeuropeo e individuandone l’aspetto fondamentale nella sua peculiare "ideologia", suscita in noi il ricordo e la coscienza di quelle forze arcane che hanno dato forma alla storia e alla civiltà dell'Occidente e che in qualche modo ancora ci ricollegano alle nostre origini più remote.
Chi desiderasse approfondire le proprie conoscenze sugli Indoeuropei potrà far riferimento ai seguenti testi:
Boyer, R. et al., L’uomo indoeuropeo e il sacro, Milano, Jaca Book-Massimo, 1991.
Campanile, E., La ricostruzione della cultura indoeuropea, Pisa, Giardini, 1990.
Childe, V.G., The Aryans. A Study of Indo-European Origins, London, 1926.
Idem, The Dawn of European Civilization, London, 1927 (trad. it.: L’alba della civiltà europea, Torino, Einaudi, 1972).
Devoto, G., Origini indoeuropee, Firenze, Sansoni, 1962.
Dumézil, E., Jupiter, Mars, Quirinus, Paris, Gallimard, 1941 (trad. it.: Jupiter, Mars, Quirinus, Torino, Einaudi, 1955).
Idem, Les dieux souverains des Indo-Européens, Paris, Presses Universitaires de France, 1977 (trad. it. : Gli dei sovrani degli indoeuropei, Torino, Einaudi, 1985).
Idem, L’idéologie tripartie des Indo-Européens, Bruxelles, Latomus, 1958 (trad. it.: L’ideologia tripartita degli indoeuropei, Rimini, Il Cerchio, 1988).
Idem, Heur et malheur du guerrier, 2. ed. Paris, Flammarion, 1985 (trad. it.: Le sorti del guerriero, Milano, Adelphi, 1990).
Idem, Mythe et epopée I, Paris, Gallimard, 1986 (trad. it.: Mito e epopea. La terra alleviata, Torino, Einaudi, 1982).
Gamkrelidze, T.V. e Ivanov, V.V., Indo-European and the Indo-Europeans, Berlin-New York, Mouton de Gruyter, 1995.
Gimbutas, M.A., The Language of the Goddess, San Francisco, 1989 (trad. it.: Il linguaggio della dea. Mito e culto della dea madre nell’Europa neolitica, Milano, Longanesi, 1990).
Idem, Das Ende Alteuropas. Der Einfall von Steppennomaden aus Sudrussland und die Indogermanisierung Mitteleuropas, Budapest, Archeolingua, 1994.
Günther, H.F.K., Frömmigkeit nordischer Artung, Leipzig, Teubner, 1934 (trad. it.: Religiosità indoeuropea, 2. ed., Padova, Edizioni di Ar, 1980).
Haudry, J., La religion cosmique des Indo-Européens, Milano-Paris, Archè-Les Belles lettres, 1987.
Kilian, L., Zum Ursprung der Indogermanen, Bonn, Habelt, 1973.
Lazzeroni, R., La cultura indoeuropea, Roma-Bari, Laterza, 1998.
Mallory, J.P., In Search of the Indo-Europeans, London, Thames and Hudson, 1991.
Martinet, A., Des steppes aux océans. L’indo-européen et les ‘Indo-Européens’, Paris, Payot, 1987 (trad. it. : L’indoeuropeo. Lingue, popoli e culture, 2. ed., Roma-Bari, Laterza, 1994).
Oosten, J., The War of the Gods. The Social Code in Indo-European Mythology, London, Routledge & Kegan Paul, 1985.
Polomé, E.C. (a cura di), The Indo-Europeans in the Fourth and Third Millennia, Ann Arbor, 1982.
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Renfrew, C., Archaeology and Language. The Puzzle of Indo-European Origins. London, 1987 (trad. it.: Archeologia e linguaggio, Roma-Bari, Laterza, 1989).
Sergent, B., Les Indo-Européens. Histoire, langues, mythes, Paris, Payot & Rivages, 1995.