Come per un riflesso pavloviano si pensa che i Caduti siano stati dei ragazzi cupi, tenebrosi, con pensieri nefandi e terribili. Invece erano sempicemente come tutti i ragazzi della loro età, con una spensieratezza e una voglia di vivere immensa, la stessa voglia di vivere che li ha portati a scegliere una strada difficile.
"Oggi, in questo mondo di merda, in questo paese schifoso, qualcuno potesse ereditare la sua, la loro forza. Io, dopo Franco, mi sono sempre sentito una merda per aver vissuto una vita da piccola formica. Oggi, in questa situazione, sarei pronto a riscattarmi..." con queste parole Luca ha iniziato a raccontarci la sua amicizia con Franco. Come sempre questi racconti dicono molto, ma dice molto di più la scelta di raccontare, la scelta di mettersi in gioco senza paura.
Fenice Europa
In memoria di Franco Anselmi
Sono passati più di 40 anni, ma dimenticarti è stato impossibile. Non posso dire che ti abbia pensato costantemente, ma, costantemente mi sei tornato alla mente. Da quel tremendo 6 marzo 1978. Anzi, dalla mattina del 7, quando alla radio, mentre stavo facendo colazione prima di andare a scuola, dettero la notizia di un terrorista nero era stato ucciso durante una rapina. Quel terrorista eri tu, Franco.
Ti avevo conosciuto a Perugia, dove ti eri iscritto ad Agraria, anche se a me sembrava di ricordare Veterinaria, nel 76 ottobre ci aveva presentato una amica comune che tra i suoi amici, l’unico di destra ero io. Eri più grande di 4 anni e forse fu anche questo che ti fece affezionare a me. Con altri amici avevo uno di quei club che spopolavano in quegli anni e che ti identificavano anche politicamente. Almeno a Perugia dove fare politica non era la stessa cosa che a Roma o Milano o Bologna. Il club era in via del Satto 1 a poche decine di metri da dove abitavi tu, via San Giovanni dal Fosso n° 9. Divenne normale passare da casa tua per andare insieme in questo ritrovo. E piano piano cominciasti a fidarti di me e ad aprirti. Mi raccontasti delle prime esperienze politiche. Di come avevi perso la vista da un occhio, anche se quel soprannome “il cieco di Urbino”, ti non me lo dicesti mai. Lo lessi solo dopo sui giornali e poi su internet. Io invece ricordo che mi dicesti che ti chiamavano il “ragazzo dei cani” anzi, mi piacerebbe che qualcuno potesse darmene conferma. Mi parlasti di Mikis Mantakas, ma, mai del famoso passamontagna di cui si scrive e seppi solo dopo. Forse giustamente, per cosa poteva rappresentare per te, mi raccontasti di quel giorno a Sezze, ma, mai facesti un nome dei tuoi amici di Roma. Forse per non coinvolgermi di più, o più probabilmente, per salvaguardare loro. Mi presentasti un amico che ogni tanto veniva a Perugia, 3 o 4 volte, si chiamava Massimo, al quale, solo qualche anno fa ho associato un cognome. Ma con nessuna certezza. Ricordo di lui, Rayban e quella giacchetta di renna ed i polsini ed il collo di lana, color tabacco che identificavano un po’ chi era di destra. Io da parte mia ti presentai alla mia famiglia. Mia sorella, del 56 anche lei, era iscritta al FUAN e mio padre aveva una sua storia da raccontare abbastanza importante essendosi arruolato volontario in Marina a 15 anni, prima nei sommergibilisti e poi nei draga mine. Ricordo che ti trovavi bene con noi ed io ero orgoglioso. Mia madre diceva sempre di quanto eri educato e dolce. Ed io posso aggiungere anche generoso e coraggioso, ed un po’ timido.
Quella mattina del 7 marzo 1978 mia madre era in cucina vicino a me, quando sentimmo la notizia, lei non capì di chi stavano parlando e cominciò a tempestarmi di domande sul perché conoscessi un terrorista ucciso in una rapina. Quando le dissi che quel Franco, poco più che ventenne, eri tu scoppiò anche lei a piangere. Sono stato e sono orgoglioso di averti aiutato conservando delle tue cose che in certi momenti non potevi tenere con te. Ti sono grato per quella volta, che mi salvasti da un gruppo di 4 o 5 teppistelli, non ci pensasti un secondo ad intervenire e con una chiave stretta nel pugno sistemasti la cosa per me.
Anche tanti ricordi allegri di pomeriggi passati in una maniera che tu a Roma forse, da adolescente, non avevi mai vissuto. Poi sparisti e tornasti nella mia vita quella mattina di 42 anni fa, ricordo che per mesi non facemmo che ricordarti. E spesso, quando incontro qualche amico di allora, ancora accade. Te ne sei andato troppo presto, ma se la tua breve vita ha lasciato un’impronta così forte nei ricordi di tante persone, significa che non ti sei sacrificato invano. Almeno per noi.
Luca Chiezzi
Franco visse, per circa un anno, a Perugia in Via del Fosso 9 all'ultimo piano di questa palazzina