Con il nome di Reconquista si intende il lungo e travagliato scontro che contrappose le popolazioni cristiane della penisola iberica (i futuri spagnoli e portoghesi) ai mori che nel 711 avevano dato inizio all’invasione di quella parte d’Europa. Lo sbarco ed il rapido avanzare dell’esercito musulmano fu in larga misura facilitato dai dissidi e dalle lotte che dividevano i visigoti, “eredi” dell’impero romano (Questo aspetto dovrebbe servire di monito).Come accennato il dilagare dell’esercito arabo fu inarrestabile e per circa una decina d’anni non incontrò alcuna seria opposizione. Nelle Asturie iniziò la resistenza con scaramucce, azioni di disturbo e guerriglia; il comando delle forze cattoliche fu assunto dal visigoto Pelayo, della cui origine si sa ben poco ma si ha la certezza della sua esistenza in quanto citato dalle cronache sia cristiane che islamiche.
Nell’estate del 722, nei pressi di Covadonga, si ebbe un importante scontro ove i cristiani, seppur inferiori per numero, ebbero la meglio sui mori. La tradizione vuole per l’aiuto della Madonna, probabilmente anche grazie alla conoscenza dei luoghi, boscosi, aspri, con piccole valli che facilitarono le forse cristiane. Per gli storici mori si trattò nella realtà di un piccolo scontro, può essere, ma è certo che esso costituì la prima significativa vittoria cristiana.
La battaglia di Covadonga rappresenta, almeno convenzionalmente, l’inizio della Reconquista, quella “crociata” durata circa 770 anni; tanti furono gli anni che trascorsero fra la vittoria nei pressi del piccolo villaggio delle Asturie e la resa di Granada, la capitale dell’Andalusia, ove nel 1492, con la fuga degli ultimi mori, fu sancita la fine vittoriosa di questa crociata. Crociata che ha forgiato le popolazioni spagnole e portoghesi e che ha permesso il crescere e lo svilupparsi dell’Europa che conosciamo, l’Europa delle cattedrali gotiche e dei chiostri romanici, quella di Dante e di Cervantes, senza sottacere sui capolavori che ora ammiriamo nelle sale del Prado o dell’Ermitage che sarebbero certamente ben inferiori per numero, se consideriamo il pensiero islamico iconoclasta verso le arti figurative. Covadonga è rimasto un piccolo villaggio, poche case ed una piazza, la grotta ove apparve la Madonna, una piccola cappella ed una grande chiesa, è oggi meta incessante di turisti e curiosi.
La Reconquista ebbe un andamento altalenante, con vittorie e sconfitte, periodi di onore ed hidalguia alternati a trame oscure e tradimenti. La battaglia che rappresentò in un certo senso la chiave di volta fu quella di Las Navas de Tolosa del luglio 1212 e non solo per l’esito militare che arrise agli eserciti cristiani, ma soprattutto perché, forse per la prima volta, si videro gli eserciti cristiani coalizzati (con apporto di forze non solo iberiche) contro i mori. In una qualche misura era un esercito europeo che scacciava popoli invasori dalla terra d’Europa; esperienza vincente che si ripeté vari anni dopo a Lepanto, ove alla coalizione cattolica europea, non a caso guidata da don Juan de Austria, figlio di Carlo V nipote di Isabella la cattolica, arrise la vittoria.
La porta dell’Andalusia era spalancata.
Vi è una precisazione da fare: non si deve incorrere nell’errore di considerare i mori come barbari nell’accezione greco-romana del termine. Il loro apporto nelle arti fu notevole, basti pensare alla letteratura, all’architettura, senza dimenticare la gestione della cosa pubblica e l’uso accurato e saggio di quel bene prezioso rappresentato dall’acqua; per quanto riguarda quest’ultimo aspetto si consideri il “Tribunale dell’acqua” a Valencia, istituzione probabilmente romana ma potenziata dagli arabi e giunta fino ai giorni nostri con il compito di dirimere gli eventuali contenziosi per l’utilizzo delle acque irrigue.
Di questi lunghi e determinanti secoli della storia d’Europa noi della Fenice vogliamo chiacchierare con chi avrà la volontà di seguirci e cercheremo come sempre di farlo con soavità ed in modo un po’ scanzonato visitando castelli cristiani e fortezze arabe, regge fastose ed umili dimore, tratteremo di miserie e nobiltà, di ordini cavallereschi e di processi. Non taceremo neppure sul gatto di Calatrava, secolare custode del castello in rovina, che dopo aver accolto con aristocratica rudezza due fra gli attuali collaboratori della Fenice li volle accompagnare (anzi condurre) alla scoperta dell’imponente chiesa e fin sugli spalti ad osservare dall’alto la vallata che si perde a sud, verso Las Navas, con le spighe che ondeggiano al vento, quasi a mimare l’andare e venire dei combattenti dei due fronti.