Il periodo storico era travagliato, gli scontri far Milano e Como avevano già provocato migliaia di morti e la diplomazia meneghina aveva trovato nelle popolazioni dell’Isola Comacina e della Tremezzina degli alleati contro Como.
La potenza navale di Como a quei tempi era immensa, infatti i comaschi potevano contare su più di 100 navi da battaglia, ma non aveva nessun tipo di nave adatto a compiere veloci scorrerie e che rispondesse a caratteristiche di “guerriglia lacustre”. Ecco che allora gli ingenieri navali comaschi concepirono e realizzarono dodici battelli adatti a questo tipo di impegno e le attrezzano con catapulte e balestre in grado di lanciare frecce incendiarie.
La prima missione, dopo la benedizione impartita davanti al porto dal vescovo Guido Grimoldi, è Tremezzo che viene praticamente rasa al suolo. Poi è la volta di Campo, Lezzeno, e l’incendio delle navi alla fonda nel porto dell’Isola Comacina.
Divennero famose queste barche con il soprannome di “i dodici Apostoli” che, secondo la visione del tempo portarono su tutto il lago di Como la legge e il dominio dei Comaschi.
Di valore storico indubbio ci è rimasta la narrazione in versi del conflitto decennale è stata raccolta dal misterioso autore del “de bello cumano” che è stato tradotto in prosa nel 1880 da uno studioso comasco, il Prof. Angelo Scalabrini.
Curiosità
Non a caso siamo andati a eseguire delle ricerche storiche rispetto alle imbarcazioni utilizzate dai comaschi durante il conflitto con Milano. Non è semplice erudizione ne tantomeno ricerca del particolare storico, ma bensì la riscoperta delle nostre tradizioni e della nostra cultura, di ciò che ci fa essere Popolo e non massa.
Abbiamo riletto Cesare Cantù e abbiamo trovato delle descrizioni curiose. Il primo naviglio descritto viene chiamato scorrobiesse. Viene descritto come una nave lunga e affusolata, spinta potentemente da più vogatori e armata di un lungo rostro. Lo scopo dell’imbarcazione era quello di fungere da veicolo d’assalto sia per forzare i porti sia per sferrare attacchi ai mercantili.
Vi era poi la cosiddetta barbote che era una via di mezzo fra un mezzo di trasporto truppe e materiale bellico e una nave da combattimento. Erano navi lente e pesanti, con propulsione a vela e armate con balestre e catapulte in grado di bombardare sia navi nemiche sia porti e coste nemiche. Caratteristica delle barbote era una torre merlata adibita a postazione di lancio di materiale incendiario.
Le ganzerre invece erano imbarcazioni leggere, veloci utilizzate per scorrerie e per abbordaggi alle navi nemiche. La capacità offensiva era ottima, ma per le ridotte dimensioni, dovevano sempre far capo a una o più barbote che le rifornivano di materiale bellico anche durante gli scontri.
Incredibile il nome affibbiato a quest’ultimo tipo di barca: schifo. Lo schifo era una imbarcazione di servizio. Con ventiquattro rematori era in grado di trasportare 12 soldati completamente equipaggiati e assolveva funzioni sia di infermeria sia di luogo di riunione degli stati maggiori.
Due particolarità infine. la prima è che tutto il legname necessario alla costruzione delle navi proveniva dalla Valtellina, con cui i comaschi avevano rapporti eccellenti, l’altra che le tradizioni ingenieristiche erano di un ottimo livello e che le navi progettate potevano tranquillamente affrontare si la navigazione lacustre, sia la navigazione fluviale, aumentando così le capacità offensive della flotta.