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Josè Antonio Primo de Rivera durante l'ora d'aria nella prigione di Alicante (Clik immagine)«Vi hanno detto che sono un avversario da uccidere, ma voi ignorate che il mio sogno era "Patria, pane e giustizia" per tutti gli spagnoli, specie per i miseri e diseredati. Credetemi! Quando si sta per morire non si può mentire.» (José Antonio Primo de Rivera rivolto al plotone di esecuzione prima di morire  José Antonio Primo de Rivera, Scritti e discorsi di battaglia a cura di Primo Siena, Giovanni Volpe Editore, Roma, 1967, p. 80).

Articolo del professor Luis Suárez Fernández, apparso su " Cuadernos de Enquentro"

Si continua molto a discutere sull’interrogativo se Franco fece o no tutti gli sforzi possibili per salvare José Antonio. Nell’opera di Pedro Sáinz Rodriguez "Un reinado en la sombra", edita nel 1981, questi interrogativi giungono ad un livello di commenti meramente gratuiti. Ci si ricordi, per altro, che il suo autore fu un cordiale nemico di Franco dopo essere stato ministro con lui.

Attualmente, per altro, disponiamo di dati che sono indiscutibili e che non solo gettano luce su aspetti concreti ma dimostrano quello che, per altro, il Generalissimo, (la cui carica decorre dal primo ottobre 1936, come tutti sanno), fece per ottenere la consegna di José Antonio in cambio di forti ricompense. Quei giorni erano segnati dalla "provvisorietà" nella parte nazionale. Dissolto il Partito Radicale e la CEDA (Confederación Española de Derechas Autónomas, di Gil Robles) restavano, la Falange, ricostruita, e il Movimento Tradizionalista. Il problema essenziale per la Falange era la mancanza della sua guida: José Antonio era detenuto in Alicante; Pilar, sua sorella, che passò per quella cittàCartolina Josè Antonio autografata (Clik immagine) senza poterlo visitare, non giunse a Siviglia che ad ottobre. Qui seppe che Girón si stava giocando la vita negli impervi pendii del Gadarrama, e che Onesimo era morto. Dionisio Ridrujeo era molto giovane e mancavano uomini di gran levatura, dispersi, nascosti o assassinati. Dal 2 settembre Hedilla presiedeva una giunta provvisoria; tutti facevano riferimento con speranza all’assente".

Ignoriamo quali atti possano aver fatto Hedilla e i suoi collaboratori. Il 6 ottobre, in Siviglia, Augustín Aznar e Rafael Garcerán, assistenti di José Antonio in Madrid, decisero dar vita ad un piano di liberazione. Quella città era rifugio del Console tedesco in Alicante, Knobloch, espulso dopo un primo tentativo di aprirsi la strada verso la prigione e liberare José Antonio. Il progetto consisteva inizialmente nel contattare il governatore civile Jesús Monzón ed offrirgli una sostanziosa somma di denaro in cambio del prigioniero. Franco fu avvisato ed approvò l’operazione; si necessitava, a causa dei mezzi, della sua imprescindibile partecipazione. Intermediario per questi difficili contatti sarebbe stato Gabriel Revello, rappresentante dell’Ibarra (compagnia di navigazione che disponeva di transatlantici e varie navi) in Alicante. Il comandante della flotta tedesca in acque spagnole, Rof Caels, negò il permesso perché fosse utilizzata una delle sue navi, però un’opportuna comunicazione del Quartiere Generale, tramite il Conte Du Moilin Eckrt, ambasciatore in Lisbona, fece sì che da Berlino s’impose una rettifica dato che si trattava di "compiere una missione speciale ordinata dallo stesso Franco". Non può perciò essere messo in dubbio che il Generalissimo avesse assunto la responsabilità dell’operazione.

Il 18 ottobre, a bordo del Deutschland, Carls fu informato da Knobloch e dal consigliere Karl Schwendemann di cosa si trattasse: l’incarico di Franco consisteva nel comperare la libertà di José Antonio; i falangisti imbarcati non scartavano la possibilità di effettuare un colpo di mano armato se l’operazione fosse fallita. Come d’abitudine sorsero controversie fra il Partito, la Marina e la Wilhelmstrasse (forma per indicare il Ministero degli Esteri). Carls avvertì che la presenza di falangisti a bordo, il ritorno di Knobloch ad Alicante ed il progetto di colpo di mano avrebbero potuto provocare, in primo luogo, la morte della stessa persona che si voleva liberare, e, poi un incidente diplomatico per la Germania di ben gravi conseguenze. La Wilhelmstrasse appoggiò questa tesi, volta a sospendere l’operazione, raccomandando la via diplomatica ed i negoziati con gli anarchici che non volevano la morte di José Antonio, Von Knobloch sosteneva il contrario: "la liberazione di José Antonio è una questione vitale per il fascismo (sic) <dell’estensore dell’articolo> spagnolo che, durante la guerra civile, doveva ispirare uno spirito rivoluzionario nazional-sindicalista".

Busto di Josè Antonio in Toledo. (Click CC license)Franco intervenne con decisione. Il 19 ottobre Warlimont telegrafò a Carls comunicandogli gli ordini del Generalissimo che dovevano essere eseguiti: primo chiedere la consegna del prigioniero offrendo in cambio altre personalità detenute in zona nazionale; se questo tentativo fosse fallito ricorrere al denaro avendo cura di accertarsi, prima del pagamento della notevole somma, dell’identità del prigioniero. Franco non desiderava che Knobloch intervenisse nell’operazione. Non sappiamo se Franco fosse consenziente all’idea del colpo di mano; era un problema che, nella sua carica di Generalissimo, non poteva discutere con i tedeschi. Non vi è dubbio che Carls compì gli ordini a denti stretti considerando il tutto come un errore. In questo critico momento un intermediario, di cui non conosco l’identità, offrì la liberazione di Primo de Rivera e dei suoi familiari in cambio di tre milioni di pesetas in pezzi d’argento. Franco riunì la somma, posta in sacchi, però avvertì Aznar ed i suoi amici che non vi erano altri fondi (Per fare un paragone si pensi che la CEDA destinò all’Alzamiento 500.000 pesetas e non certamente in pezzi d’argento).

I sacchi con il denaro furono portati a bordo dell'Admiral Scheer comandato da Otto Ciliax; nella stessa nave viaggiarono verso Alicante Revello, Pedro Gamero del Castillo y Knobloch. Il 21 ottobre, invitato dal comandante della nave, il governatore civile, Monzón, salì a bordo. Ciliax aveva chiuso i passeggeri in una stanza per impedire che avessero contatti. Il marinaio tedesco bloccò i progetti immediati. Dopo l’incontro con Monzón, informò i suoi superiori, Carls, Warlimont e l’incaricato dello scambio, Völckers, della sua assoluta certezza che José Antonio non correva pericolo e che la sua liberazione poteva e doveva ottenersi tramite negoziati per uno scambio, attraverso preferibilmente gli Stati Uniti.

Franco accettò anche questa strada. Il 4 novembre Warlimont aveva in sue mani un documento con gli accordi scritti da consegnare al deputato socialista asturiano Graciano Antuña, più i tre milioni che continuavano ad essere depositati sulla nave tedesca. L’11 novembre Völckers comunicava al Quartier Generale di Salamanca che i negoziati erano in corso con buone prospettive sebbene probabilmente si sarebbe dovuta aumentare la somma di denaro. Speranze vane come tutti sanno molto bene. Quelli decisi all’eliminazione di José Antonio organizzarono già il 14 novembre un giudizio popolare, molto "democratico", che si concluse dopo sei giorni, nella mattinata del 20 novembre, con la fucilazione del Fondatore della Falange nel cortile del carcere. Un crimine di Stato, che, a posteriori, alcuni liders repubblicani rimpiansero.

Tutti questi dati sono avallati da un autore non sospetto: Angel Viñas. Sono il risultato di una ricerca. Un giorno, forse, dovremo parlare di un altro tentativo precedente, in cui Franco non potè intervenire. Però è ingiusto affermare che egli non fece nulla per salvare Primo de Rivera:

 

Luis Suárez Fernández

Professore e accademico della "Real Academia de la Historia"

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