Inspiegabilmente in Italia, la terra che ha visto il sorgere del fascismo come fenomeno dalla dirompente vitalità, poco si conosce sul Falangismo, quel movimento che dagli anni trenta infiammò il cuore di tanti spagnoli.
La mancanza di studi su tale fenomeno è tanto più incomprensibile quando si pensi ai molteplici legami che nel corso della storia hanno unito Spagna e Italia, ed alla similiarità tra Fascismo e Falange, similiarità constatabile più che nell’attuazione pratica (la Falange non “gestì” mai il potere) nei “tipi umani” che a questi movimenti dedicarono (e dedicano) la loro vita.
Intenzione del gruppo redazionale è quello di colmare, almeno parzialmente, tale lacuna. Dedicheremo una trilogia ai personaggi di maggior spicco della Rivoluzione Nazionale Spagnola, quelli che più lasciarono la loro impronta ideologica: Ramiro Ledesma Ramos, Onesimo Redondo Ortega, José Antonio Primo de Rivera.
Il presente studio è dedicato a Ramiro Ledesma, uno fra i promotori della Rivoluzione Nazionale; si avrà modo di osservare che le sue riflessioni non hanno perso, col trascorrere degli anni, né valore né attualità. A titolo di curiosità è interessante constatare che già nel 1931 Ramiro rilevava la non incompatibilità del nascente movimento con la repubblica, forse prevedendo che, sia in Italia che in Spagna, la monarchia si sarebbe mostrata come il più subdolo nemico dei movimenti Nazional Rivoluzionari.
Ramiro fu l’uomo profondo e combattivo del nazional-sindacalismo spagnolo. Seppe vedere al di là delle coordinate del suo tempo e dar luce ad una filosofia politica ed ad una mistica rivoluzionaria in sintonia col nascere delle nuove idee, nel ,rinnovarsi del nostro secolo seppe rompere la monotonia debilitante del vegetare mansuetamente, per portare una scintilla di speranza a tutto un popolo, infondergli un ideale e strappare dai cuori giovani, la gioiosa speranza della trascendenza e della spontaneità della sua missione storica.
Il suo pensiero è il cardine e l’asse intorno a cui ruotano tutte le susseguenti formulazioni. La sua figura controcorrente penetra ed illumina ogni giorno di più i meandri oscuri delle nostre menti. Si è cercato con molti mezzi di dissipare la sua grandezza e ciò che aveva fondato, ma, lui sta h, insieme allo splendore dell’alba, all’avanguardia del pensiero e della azione.
PRIMI ANNI
Ramiro Ledesma Ramos nacque a Alfaraz, villaggio rustico e pastorizio della provincia di Zamora, al nord della Castiglia, molto vicino alla strada di Santiago e prossimo ai luoghi ove covò la riconquista spagnola. Era il quinto anno del XX secolo ed era primavera. Maggio.
Suo padre era maestro della scuola di Torrefrades, borgo di cinquecento abitanti. Ramíro occupa per nascita il quarto posto nella famiglia e risiede a Torrefrades (Zamora) dai quattro ai cinque anni. Cresce in una terra secca e dura, di frumento e di ceci, di pianure eterne e dorate, terra screpolata dai solchi dell’aratro romano e dalle inclemenze dell’altopiano, terra di gente semplice e lavoratrice, cristiani vecchi d’immemorabili leggende, dai volti conciati e dagli sguardi nobili. In queste terre di Castiglia il giovane Ramiro si fa sognatore. Gioca con i ragazzi del villaggio con mille invenzioni fantastiche. Fanno rappresentazioni ed incarnazioni di personaggi celebri senza pubblico e senza palcoscenico, nelle aie dei poderi, ove in luglio si trebbiano le spighe. A Ramiro piaceva interpretare il Kaiser Guglielmo II, in pieno primo conflitto mondiale, quando aveva appena nove anni, là con i suoi amici della piccola scuola del borgo...
Il suo cuore è inquieto e la sua mente lucida. A quattordici anni scrive un saggio scorrevole nel “Diario Mercantil” di Zamora che firma come “uno dei tanti” e che concerne un suo incipiente commento sulle elezioni municipali nei Confini municipali d’un villaggio adiacente. A questa età lascia il borgo per cercare il suo futuro nella capitale di Spagna, ove il padre lo iscrive in una scuola di preparazione per entrare nel corpo tecnico delle poste. Superando immediatamente la prima prova del concorso, deve lasciar trascorrere una parentesi di tempo non possedendo uno dei requisiti richiesti per la seconda prova: diciassette anni. Passa alcuni mesi ad Atienza, villaggio della provincia di Guadalajara, prossimo a Siguenza, la città del paggio, figura, lavorata nella pietra, del guerriero medioevale che legge con devozione un libro posto nelle sue mani.
Nel 1921 entra come funzionario nel corpo postale ed è destinato a Barcellona e poi Valenzia, per ritornare nel 1924 a Madrid.,
Dai diciassette ai venticinque anni Ramiro Ledesma si dedica a quattro cose che svolge con grande impegno: il suo lavoro, il servizio militare, l’apprendere le lingue e il formarsi nel mondo delle idee, che persegue studiando filosofia, ragionando, discutendo e dibattendo con una dialettica profonda e riflessiva.
SCRITTI DI GIOVENTÙ’
Inizia precocemente a scrivere i suoi primi saggi. Sono pezzi brevi, riflessioni autobiografiche., pensierosi tormenti che gorgogliano nel suo spirito critico e sagace. A diciassette anni scrive e pubblica “ El vacio “ (Il vuoto) in “ La Esfera “, cui segue “Eljoven suicida” (Il giovane suicida). Si pone mille interrogativi sull’esistenza e sui vecchi enigmi irrisolti. Addita soluzioni e dialoga con i suoi personaggi, sempre giovani, attorno ad un tavolo, nelle riunioni nei caffè. Sono le sue prime inquietudini intellettuali.
Alle due narrazioni precedentemente indicate segue, in ordine cronologico, la novella “El sello de la muerte” (Il sigillo della morte) che il suo autore dedica a Miguel de Unamuno e che scrive a diciotto anni, pubblicandola nel 1924, prorogata da Vidal e Planas. La trama della novella è precisa e significativa: “La volontà al servizio della bramosia di superazione: potere e grandezza intellettuale”. In questa sua prima novella filosofeggia sugli impulsi della gioventù, con spavalderia e passione, con quella volontà ferrea e inquieta che è più vigorosa quando si hanno diciotto anni. Il suo protagonista grida fra gli steccati dei suoi molteplici dubbi e non si placa nella sua angustia, bensì all’avversità offre superazione ed all’incertezza, fede. L’influenza di Nietzsche si lascia intravedere lungo tutta la trama dell’Opera.
Quando appare “El sello de la muerte” scrive “El Quijote y nuestro tiempo “ (11 Chisciotte ed il nostro tempo), occupandosi dell’idealismo di questa figura tanto sviscerata della letteratura spagnola, con riflessioni filosofiche di alto livello.
Altre due opere letterarie si allineano fra i suoi scritti di questa epoca, “El fracaso de Eva” (il fallimento di Eva) e l’apocrifa “Nuevas ideas esteticas” (Nuove idee estetiche) che rimase nei fogli e non vide la luce.
FORMAZIONE ED INFLUENZE
Consegue nel 1925 la licenza liceale nell’istituto di San Isidro di Madrid e, nel seguente anno accademico, si iscrive alla Facoltà di Scienza ed a quella di Lettere e Filosofia dell’Università Complutense. Nello scegliere i suoi studi superiori abbraccia i due rami del sapere. Unisce la sua razionalità alla sua sete di cultura umanistica. Per Ramiro la scienza del numero e le sue derivazioni erano l’esattezza, la concisione, la disciplina. La filosofia rappresentava la profondità, il ragionamento, la comprensione.
Salda i suoi studi medi e superiori con l’apprendimento di due lingue, il francese ed il tedesco, che giunge a dominare come la propria lingua natale. Legge incessantemente in ognuna delle tre lingue e quando trova qualche messaggio che stimola la sua meditazione lo traduce e commenta nella “Revista de Occidente”, ne “La Gaceta Literaria” o ne “El Sol”. Frequenta la biblioteca dell’ateneo madrileno e nella sua scheda di consultazione restano indicati gli autori di scienze matematiche più in voga del momento, fra cui troviamo Pacotte, Natucias, Daries, Peano, Stofaes, Zoretti, Laurente tanti altri la cui sola enumerazione sarebbe prolissa da riportare. Relativamente alle opere filosofiche che consulta e studia, riassume e fissa in appunti personali, vi sono Burnet, Messer, Papini, Gentile, Treudelenburg, Munk, Fouker, Capdevila, Pegui, Morente, Renan, Hume, Raab, Croce, Fichte, Brejier, Ruggiero, Berni, Nietzsche, Spengler e tanti altri che danno un’idea approssimativa della sua universalità di cultura.
E’ l’epoca della sua formazione intellettuale. Legge con avidità, investiga, passa ore interminabili immobile come quel paggio di Siguenza, davanti alle lettere stampate dei suoi libri preferiti e dei suoi autori prediletti. Il suo spirito spazia e si arricchisce. La sua preoccupazione per il sapere invade le sue ambizioni. Legge senza sfinirsi e con autentica devozione, traduce, commenta, schematizza, annota nei suoi appunti personali, cerca il tesoro più grande dell’umanítà, la sua cultura ed il suo pensiero, il suo insegnamento e la sua immortalità.
IL SUO CARATTERE
Aguado, che ha scritto alcuni saggi ed articoli su Ramíro, considera che “era dotato come pochi per l’azione ed il comando” ed il professor Montero Díaz, che lo conobbe direttamente e divise con lui momenti di intensa amicizia, sintetizza così il suo carattere:
Precoce per ingegno e volontà.
I personaggi delle sue novelle sono incarnazioni del suo stesso essere: uomini di spiccata personalità che lottano contro la mediocrità sociale nella quale vivono; giovani di elevate aspirazioni intellettuali; solitari dal duro carattere.
Inquietudine, passione, temperamento propenso alle espressioni rigorose ed esatte.
Anima appassionata. Questa passione si espresse in forma aspra e ardente nelle opere della sua più precoce attività letteraria, ed in forma fredda e rigorosa nei lavori e scritti filosofici. In entrambe le forme identica e vera.
Nascondeva un fuoco interiore.
Attività senza a scoraggiamento.
Ferrea disciplina interiore.
Tensione interminabile e tenace.
Incensurabile rettitudine.
Disciplina della volontà e dell’intelligenza.
Libertà di reazione e di critica che costituì sempre la parte più preziosa del suo spirito.
Piena indipendenza intellettuale, con la quale si districa nel mondo delle idee che frequenta.
Vive una tensione esigente.
Non si stanca di scrivere la parola “rigore”.
E’ più rigoroso con se stesso.
Si corazza, forte, verso ogni atteggiamento sentimentale
Uomo del suo tempo, fatalmente vincolato ai contorni drammatici della sua epoca, esente e libero da ogni anacronismo.
Sentiva profondamente la sua dignità di spagnolo, come abbagliato dalle grandi epoche eroiche e creatrici, dalle epoche cruciali in cui la cultura sperimenta una crisi rinnovatrice ed il genio degli uomini si manifesta in impetuosa pienezza.
Si sente attratto dai tempi arroventato dall’eroismo e dal pericolo.
Sotto il suo aspetto di uomo freddo si nascondeva una viva sensibilità umana.
CONVERGENZE IDEOLOGICHE
Vi sono due filosofi tedeschi per i quali si inclina e nei cui studi s’immerge: il conte Keyserling e Federico Nietzsche. Keyserling vede i suoi articoli riprodotti e commentato in Spagna da un ardito futurista della cultura europea, che li traduce e li introduce nell’area del pensiero ispanico, e perfino li postilla e li annota. Di Keyserfing vi sono due aspetti che richiamano prepotentemente l’attenzione del giovane Ledesma: l’affermazione del filosofo tedesco secondo cui “ora la Spagna possiede la materia prima ciò che si può chiamare, più che umanità umanesimo”. La stirpe iberica dell’uomo, può fornirci una cultura estetica sempre a base di umanesimo e in relazione alle idee politiche attuali Keyserling affermava categoricamente che “La forma politica e sociale richiesta dall’epoca nascente è il fascismo”.
Il considerare la Spagna come riserva spirituale dell’occidente ed il comprendere che il fascismo è la più recente rivoluzione - ideologica, che dà inizio ad un’era e che risponde, come idea più suggestiva e moderna, alI’esigente richiesta dei momenti attuali,
Ramiro pubblica un’intervista con il conte Keyserling nel 1930 ove pone in risalto, in sintesi condensata, le idee motrici del pensiero del gran filosofo contemporaneo tedesco. L’intervista si pubblica su “La Gaceta Literaria”, pubblicazione avanguardista d’una incipiente gioventù.
Il secondo filosofo che sintonizza con il pensiero creatore di Ramíro è Nietzsche e la sua teoria della superazione, del superuomo della tradizione, con tutta la magniloquenza concettuale delle sue metafore immaginative, con tutta la sua forza d’espressione e con tutto il nerbo vivo e vivificante del grandioso e del superiore, dell’eccelso e del difficile, dell’aldilà e dell’umano, intrecciati in perenne conquista.
Dal maggio 1929 fino al luglio 1930 è critico e commentatore delle idee in voga, nell’orizzonte europeo, su due pubblicazioni d’elevato livello intellettuale: “La Gaceta Literaria” e “La Revista de Occidente”, nelle quali non solo si limita a commentare idee, bensì espone possibilità artistiche ed estetiche, essendo un grande ammiratore della settima arte, come possibilità e realizzazione, come immagine e parola, come colore e movimento, come mimica, gesto e rappresentazione.
E’ l’epoca in cui avverte la necessità della creazione d’una Società di Studi filosofici. Il primo commento di Heidegger che si fece in Spagna, si dovette alla sua penna.
FULGORE POLITICO
Fu durante una veglia letteraria, nella notte del 30 gennaio 1930, in un omaggio che offriva Pombo a Gimenez Caballero, che si produsse un aneddoto che delinea il modello del suo orientamento e l’iniziazione nella politica. Alla riunione partecipavano vari scrittori celebri del momento e fra essi vi era Bragaglía, il commediografo fascista italiano, che si trovava in quei giorni a Madrid per tenere una conferenza alla Casa dello Studente.
Alla fine della cena vi furono discorsi su vari argomenti conclusivi da “evviva” o “morte” a secondo del talento dell’oratore o dei suoi tifosi. In quel miscuglio di giovani ve n’erano di tutte le tendenze e colori, era come un arcobaleno di ideologie, argomentando e ribattendo in disordine e con chiasso, con impazienza, le teorie di maggior vigore. Tutto era motivo di controversie, di grida o di sonanti pugni sulla tavola, rumori, commenti ad alta voce per replicare, si mostrava disappunto o si applaudiva con effusione.
Nel turno d’oratori prese la parola il comunista Antonio Espina, ch’ebbe l’idea di porre una pistola di legno sul suo tavolo prima di iniziare il suo discorso, che riguardò nelle prime frasi il suicidio di Larza, per passare poi a criticare in modo volgare lo scrittore Bragaglia, lagnandosi del fatto che un esponente dell’Italia fascista si trovasse in sala; ciò provocò che Ramiro si alzasse dalla sua sedia brandendo una pistola vera e fattosi silenzio proferisse le esclamazioni di “Viva l’Italia! Viva la Spagna! Viva i valori ispanici! “ ‘
Le sue esclamazioni sconcertarono l’uditorio. Quel giovane ieratico, filosofo, timido, si ergeva tra il tumulto, i bicchieri ed il fumo per lanciare alcuni evviva a modo di primizia e brandire una pistola contro la farsa e la pistola mostrata da un oratore comunista. Ramiro considerò le parole di Espina come scortesia e ignoranza, come retrograde nei confronti di un’idea che nasceva impetuosa sulle sponde del Mediterraneo, su un suolo latino. La sua reazione contro l’insulto, fu virile ed in contrapposizione a quei “ morte “ lanciò tre “ evviva “ che erano una netta premonizione.
Quello che era un episodio aneddotico fu sintomatico e rivelatore. Le sue esclamazioni che alludevano ai “valori ispanici”, erano tutta una carica di tradizione e di novità; in una società in decadenza un giovane invocava, come segnale di salvezza, gli eterni valori della sua Patria.
LA FONDAZIONE
Ci troviamo nel mese di febbraio del 1931, due mesi prima della proclamazione della Repubblica. Una dozzina di giovani percorrono le strade della capitale distribuendo un foglio di propaganda politica con impresso un manifesto. E’ domenica. L’otto. Le strade sono affollate nonostante il rigore del tempo. Ramiro, il redattore del manifesto, guida i ragazzi che si sono offerti per diffondere il proclama che, dato il suo valore documentale, riproduciamo integralmente:
Il nostro manifesto politico
Un gruppo compatto di giovani spagnoli si dispone oggi ad intervenire in forma intensa ed efficace nell’azione politica. Non invocano per questo altri titoli che quello di una nobile e tenacissima preoccupazione per i problemi vitali che concernono il loro paese. E, naturalmente, la garanzia che rappresentano la voce di questi tempi, e che la loro è una condotta politica nata in risposta alle difficoltà attuali. Nessuno potrà eludere l’affermazione che la Spagna attraversa oggi una crisi politica, sociale ed economica, tanto profonda, che necessita essere affrontata e risolta col massimo coraggio.
Né pessimismo né fughe disertrici debbono tollerarsi nei suoi confronti. Qualsiasi spagnolo che non riesca a porsi con la dovuta grandezza in faccia agli eventi che si avvicinano, è obbligato a sloggiare dalle prime linee e permettere che siano occupate da falangi animose e forti.
Il primo gran tormento che si impadronisce di ogni spagnolo, che si incammini nella grande responsabilità politica. è quello di avvertire come la Spagna - lo Stato ed il popolo spagnolo - viva da quasi tre secoli in perpetua fuga da se stessa, sleale verso i peculiarissimi valori a lei ascritti, infedele alla loro realizzazione, e pertanto, in una autonegazione suicida, di tal gravità, che la situa ai confini stessi della decomposizione storica. Abbiamo così perso il polso universale. Ci siamo staccati dai destini universali, senza capacità né ardire per estirpare le miopie atroci, che fin qui hanno predominato tutti i conati di risorgimento. Oggi siamo nella più propizia congiuntura che qualsiasi popolo possa sognare. E dato che - avvertiamo che gli uomini della politica usuale - monarchici e repubblicani - i gruppi che E seguono e gli elementi sparsi, che fin qui sono intervenuti nelle elaborazioni decisive, non riescono a districarsi dai mediocri contesti del vecchio Stato, noi al loro margine, fronte a loro, al di là di loro, senza divisioni laterali di destra e sinistra, bensì di fondo e d’orizzonti, iniziamo un’azione rivoluzionaria a favore d’uno Stato di radicale novità.
La crisi politica e sociale della Spagna ha la sua origine nella crisi della concezione stessa su cui si articola lo Stato vigente. Ovunque l’efficacia dello stato liberal borghese che la rivoluzione francese del XVIII secolo impose al mondo si sgretola, ed i popoli si dibattono oggi nella grande difficoltà di aprire la strada ad un nuovo Stato, in cui siano possibili tutte le loro preziose realizzazioni. Noi ci incamminiamo nell’azione politica con la concreta ambizione di proiettare sopra il paese l’immagine di questo nuovo Stato. E imporlo. Un simile compito richiede, prima di tutto, capacità per liberarsi dai falsi miti e la volontà di fondersi come grande popolo, nella finalità che oggi caratterizza le nazioni: da un lato, l’apporto della nostra peculiarità ispanica allo spirito universale, e dall’altro, la conquista dei mezzi tecnici, la mobilitazione dei mezzi economici, la vittoria sugli interessi materiali e la giustizia sociale.
Le basi della nostra attuazione saranno queste:
SUPREMAZIE DELLO STATO
Il nuovo Stato sarà costruttivo, creatore. Soppianterà gli individui ed i gruppi, e la sovranità totale risiederà in lui. e solo in lui. L’unico interprete di quanto vi sia d’essenza universale in un popolo è lo Stato ed in esso il popolo raggiunge la sua pienezza. Spetta allo Stato, egualmente, la realizzazione di tutti i valori d’indole politica, culturale ed economica che vi sono in questo popolo. Difendiamo, pertanto, un parastatalismo, uno Stato che accentri tutte le forze. La forma del nuovo Stato deve nascere da se stesso ed essere un suo prodotto. Nel parlare di supremazia dello Stato si vuol dire che lo Stato è il massimo valore politico, e che il massimo crimine contro la civiltà sarà quello di porsi contro il nuovo Stato. Perciò la civiltà (la convivenza civile), è qualche cosa che lo Stato, e solo lui, rende possibile. Nulla, perciò, sopra lo Stato!
AFFERMAZIONE NAZIONALE
In faccia al disfacimento interno che oggi presentiamo, alziamo la bandiera della responsabilità nazionale. Ci facciamo responsabili della storia della Spagna, accettando il peculiarissimo substrato nazionale del nostro popolo, e miriamo all’affermazione della cultura spagnola con aspirazioni imperiali. Nulla può fare un popolo senza una previa e radicale esaltazione di se stesso come eccellenza storica. Che ogni spagnolo sappia che se una catastrofe geologica distruggesse la penisola, o un popolo straniero ci sottomettesse alla schiavitù, nel mondo cesserebbero di realizzarsi valori fondamentali! Più che mai la vita attuale è difficile, ed occorre tornare alla ricerca del coraggio dei sentimenti elementari che tengono in tesa pienezza gli spiriti. Il sentimento nazionale e sociale del nostro popolo (popolo ecumenico, cattolico), sarà questo: il mondo necessita di noi, e noi dobbiamo essere al nostro posto!
ELEVAZIONE UNIVERSITARIA
Siamo, in gran parte, universitari. L’Università è per noi l’organo supremo (creatore), dei valori culturali e scientifici. Popoli senza Università rimangono al margine delle elaborazioni superiori. Senza cultura non vi è tensione dello spirito, come senza scienza non v’è tecnica. La grandezza intellettuale e la preminenza economica sono impossibili senza una Università investigatrice ed anti-burocratica.
ARTICOLAZIONE COMMERCIALE DELLA SPAGNA
La principale realtà spagnola non è Madrid bensì le provincie. La nostra più radicale aspirazione deve costituire, perciò, nel connettere e articolare i soffi vitali delle provincie. Riscoprendo i loro miti e lanciandoci alla loro conquista. Ponendole davanti alla loro più prospera dimensione. Per questo il nuovo Stato ammetterà come base indispensabile alla sua struttura la completa e piena autonomia dei municipi. Qui risiede la grande tradizione spagnola delle città, borghi e villaggi, come organismi vivi e fecondi. Non vi è possibilità di trionfo economico né di efficacia amministrativa senza questa autonomia a cui alludiamo. I municipi autonomi potranno poi articolarsi in grandi confederazioni o regioni, delimitate da motivi d’esigenze economiche o amministrative, e, ovviamente, sotto la sovranità dello Stato, che sarà sempre, come prima indicavamo, indiscutibile e assoluta. Per vitalizzare il senso commerciale della Spagna, nulla di meglio che sottoporre le regioni ad una rinascita che si realizzi sulla base di realtà attualissime e ferme.
STRUTTURA SINDACALE DELL’ECONOMIA
I costruttori dello stato liberale borghese non potevano sospettare le vie economiche che sarebbero sopravvenute nel futuro. La prima chiara visione del carattere della nostra civiltà industriale e tecnica spetta al marxismo. Noi lotteremo contro la limitazione del materialismo marxista, e dobbiamo superarlo; però non senza riconoscergli onori di precursore morto ed esaurito nei primi scontri. L’economia industriale degli ultimi cento anni ha creato poteri e ingiustizie sociali di fronte ai quali lo stato liberale si trova inerme. Così il nuovo Stato imporrà la strutturazione sindacale dell’economia, che preservi l’efficacia industriale, però distrugga le “supremazie morbose” di qualsiasi indole che oggi esistono. Il nuovo Stato non può abbandonare la sua economia ai semplici patti o contrattazioni che le forze economiche stipulano fra di loro. La posizione delle forze economiche sarà obbligatoria ed in ogni momento aderente agli alti fini dello Stato. Lo Stato disciplinerà e garantirà in ogni momento la produzione. Cosa che equivale ad un considerevole potenziamento’ del lavoro. Tuttavia resta ancora di più da fare per un’autentica e fruttifera economia spagnola, ed è che a nuovo Stato affronterà drasticamente lo spaventoso e tremendo problema agrario che oggi esiste. Mediante l’espropriazione dei latifondisti. Le terre espropriare, una alla volta nazionalizzate, non debbono essere divise, bensì cedute agli stessi contadini, affinché le coltivino, sotto l’intervento delle entità municipali autonome e con tendenza allo sfruttamento comune e cooperativo.
Dal breve compendio anteriore denunciamo la nostra dogmatica cui saremo coerenti fino alla fine. Ed è questa:
- Ogni potere corrisponde allo Stato.
- Vi sono libertà politiche nello Stato, non sopra lo Stato., né contro lo Stato.
- Il maggior valore politico che risiede nell’uomo è la sua capacità di convivenza civile nello Stato.
- E’ un imperativo della nostra epoca la superamento radicale teorica e pratica del marxismo.
- In contrapposizione alla società ed allo Stato comunista opponiamo: i valori gerarchici, l’idea nazionale e l’efficacia economica.
- Affermazione dei valori ispanici.
- Diffusione imperiale della nostra cultura.
- Autentica collaborazione dell’Università spagnola.
Nell’università risiedono le supremazie ideologiche che costituiscono il segreto ultimo della scienza e della tecnica. Ed anche le più fini vibrazioni culturali. Dobbiamo perciò far risaltare il nostro ideale a favore dell’Università Magna.
- Intensificazione della cultura delle masse utilizzando i mezzi più efficaci.
- Estirpazione dei focolai regionali che diano alle loro aspirazioni un senso d’autonomia politica. I grandi territori o confederazioni regionali dovuti all’iniziativa dei municipi, debbono meritare, al contrario, tutte le attenzioni. Stimoleremo le agglomerazioni territoriali vitali e attualissime.
- Piena ed integrale autonoma dei municipi nelle funzioni proprie e tradizionalmente di loro competenza che sono quelle di indole economica ed amministrativa.
- Strutturazione sindacale dell’economia. Politica economica obiettiva.
- Potenziamento del lavoro.
- Espropriazione dei latifondisti. Le terre espropriate si nazionalizzeranno e saranno consegnate ai municipi ed a entità sindacali di contadini.
- Giustizia sociale e disciplina sociale.
- Lotta contro la farisaica politica faziosa di Ginevra. Affermazione della Spagna come potenza internazionale.
- Esclusiva attuazione rivoluzionaria fino a conseguire in Spagna il trionfo del nuovo Stato. Metodo d’azione diretta sul vecchio Stato e sui vecchi gruppi politico-sociali del vecchio regime.
LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE
Nasciamo rivolti all’efficacia rivoluzionaria. Per questo non cerchiamo voti, bensì minoranze audaci e valorose. Cerchiamo giovani gruppi militanti, senza ipocrisie verso il fucile o la disciplina di guerra. Milizie civili che facciano crollare l’armatura borghese e anacronistica del suo militarismo pacifista. Vogliamo il politico con senso militare di responsabilità e di lotta. La nostra organizzazione si strutturerà sulla base di cellule, sindacali e cellule politiche. Le prime si comporranno di dieci individui appartenenti, come indica il loro nome, ad una stessa corporazione sindacale. Le seconde da cinque indivudui diversa professione. Entrambe saranno l’unità inferiore che ha voce e forza nel partito. Per entrare nella cellula occorrerà essere compresi fra i diciotto e quarantacinque anni. Gli spagnoli di maggior età non potranno intervenire in modo attivo nelle nostre Falangi. Inizierà immediatamente in tutta la Spagna l’organizzazione di cellule sindacali e politiche, che costituiranno gli elementi primari per la nostra sezione. Il nesso d’unione è la dogmatica che avanti esponemmo, la quale, deve essere accettata e compresa integralmente per formar parte della nostra forza. Andiamo al trionfo e siamo la verità spagnola. Oggi inizieremo la pubblicazione del nostro periodico “La conquista del Estado”, che inizialmente sarà settimanale ed e il più presto possibile trasformeremo in giornaliero.
Le adesioni, così come le richieste di dettagli esplicativi, debbono inviarsi a nome del presidente, ai nostri uffici, Avenída de Dato 7, planta D, Madrid. In esse debbono indicarsi con la massima chiarezza il nome, età, professione e domicilio.
Il comitato organizzatore
Presidente, Ramiro Ledesma Ramos; Ernesto Gimenez Caballero, Ricardo de jaspe Santonra, Manuel Souto Vdas, Antonio Bermudez Cafíeta, Francisco Mateos Gonzales, Alejandro M. Raimundez, Ramon Iglesisa Parga, Antonio Riafio Lanzarote, Roberto Escribano Ortega; segretario, Juan Aparicio Lopez.
“LA CONQUISTA DEL ESTADO”
ll denominatore comune dei firmatari del manifesto era la loro delicata giovinezza ed il loro vertice universitario. Le loro consegne parlano di valori e di carattere, di slancio in una causa superiore e di lotta contro il decrepito. Era un razzismo di speranze ciò che muoveva quel nucleo iniziale. Il 14 marzo 1931, giusto un mese prima della proclamazione della Repubblica in Spagna, si pubblica il primo numero del settimanale “La conquista del Estado” che dirige, coordina, orienta e elabora lo stesso Ramíro. 1 suoi più diretti e immediati collaboratori sono i firmatari del manifesto stampato e distribuito il mese precedente e che viene riprodotto nel primo numero della nascente pubblicazione come volontà di intenti. Si può segnare l’inizio della rivoluzione nazional sindacalista ne “La conquista del Estado” trovandosi nelle sue pagine tipografiche, dalle lettere fitte e dalla redazione irreprensibile, tutti gli embrioni, le idee e le consegne che poi, più tardi, diedero vita e nome alle organizzazioni ed ai partiti di tendenza fascista in Spagna
Il giovane Ramíro aveva appena venticinque anni quando assunse la direzione del settimanale che avrebbe dovuto essere la prima arma di lotta d’una gioventù audace e decisa.
La testata del settimanale ha echi e risonanze malapartiane ed è sottotitolata “settimanale dì lotta ed informazione politica”. La sua tiratura iniziale fu di seimila esemplari e la sua vita si prolungò fino al 26 ottobre del 193 l. Il periodico rispondeva a due consegne secondo gli scritti del suo stesso direttore: era profondamente nazionalista e profondamente rivoluzionario, sociale e sovvertitore. “La conquista del Estado” pretendeva rappresentare uno spirito nuovo e doveva necessariamente cozzare con il repubblicanesimo del 193 1, nelle cui reti vedeva, oltre tutto, cadere tutta una gioventù generosa ed inesperta. Era un’avventura suggestiva, propria della nuova energia giovane che lanciava il suo colpo d’artiglio di ribellione e di giustizia in quella primavera.
Durante la pubblicazione, vicino ad articoli dì fondo, editoriali, interviste ed interessanti commenti, si riproducono una litania di “chiediamo e vogliamo” che evidenziano le ansie di giustizia e di grandezza che si annidano in quei giovani cuori di spagnoli che intrapresero un compito di così grande ampiezza.
“Chiediamo e vogliamo uno Stato ispanico, robusto e poderoso, che unifichi e renda possibili gli sforzi eminenti. Senza un autentico Stato ispanico saremmo qualsiasi cosa, non però persone politiche con alcuni diritti ed alcune libertà, con un destino collettivo grande o piccolo e un futuro. Con qualche cosa da fare in comune gli uni con gli altri.
Chiediamo e vogliamo la soppressione del regime parlamentare, o, per lo meno che siano limitate le funzioni del Parlamento dalla decisione suprema di un potere più alto.
Chiediamo e vogliamo una dittatura dello Stato, di origine popolare, che obblighi il nostro popolo a grandi imprese. Chiediamo e vogliamo la inabilitazione dello spirito avvocatesco nella politica, e che si affidano le funzioni di comando a uomini d’azione, fra quelli di provata valentia che posseggano la fiducia del popolo. Vogliamo e chiediamo la scomparsa del mito liberale perturbatore ed anacronistico, e che lo Stato assuma il controllo di tutti i diritti. Vogliamo e chiediamo la subordinazione di ogni individuo ai supremi interessi dello Stato, della collettività politica. Vogliamo e chiediamo un nuovo regime economico. Con alla base la verifica della ricchezza industriale e la consegna della terra ai contadini. Lo Stato ispanico si riserverà il diritto ad intervenire e dirigere le economie private. Vogliamo e chiediamo l’applicazione delle pene più rigorose per quelli che speculano con la miseria del popolo. Vogliamo e chiediamo una cultura di massa e l’accesso nelle Università ai figli dei popolo. Vogliamo e chiediamo che l’elaborazione dello Stato ispanico sia opera e compito degli spagnoli giovani, per cui debbono emergere e organizzarsi coloro che sono compresi fra i venti ed i quarantacinque anni. Vogliamo e chiediamo l’indiscutibile unità dello Stato. Le possibili entità territoriali debbono rimanere limitate in un concreto quadro di fini obiettivi. Vogliamo e chiediamo che dia forma sostanziale allo Stato ispanico la promulgazione d’una gigantesca ambizione nazionale, che raccolga le bramosie storiche del nostro popolo. Vogliamo e chiediamo il più implacabile esame delle influenze estranee al nostro paese e la loro radicale estirpazione. Per questo noi interveniamo. Per diffondere queste bramosie ispaniche e portarle al trionfo. Con tutti i mezzi. Coloro che credono di doverci aiutare , che si iscrivano nelle nostre cellule di combattimento. Nessun favoritismo né tassazioni. Braccia e coraggio”. Come può notarsi, lo stile era ardente e rivoluzionario, diretto e conciso. Nessuna retorica stantia né giochi fioriti con i grandi problemi che necessitavano una soluzione radicale. Forse lo stile era laconico e castrense, però passionale e sincero. Le sue pretese ed esigenze si ripetevano in punti risaltanti del settimanale per la conoscenza generale e la chiarificazione dei fini, Nessuna ambiguità né confusione. Chiarezza, E’ significativo che nel nono numero del settimanale, corrispondente al mese di maggio, Ramiro rediga una lettera aperta al comandante Franco, eroe dell’aviazione spagnola e fratello di colui che, posteriormente, sarebbe stato Caudillo di Spagna. In giugno si adotta il simbolo ed il motto. Come insegna si adotta un leone rampante, con uno sfondo di sole nascente. Il motto è spoglio, lapidario, epico e reciso “Non fermarsi fino a conquistare”.Il settimanale non riceveva aiuti né sovvenzioni di alcun genere e le strettezze economiche, unite alle vicissitudini che attraversava, ad essere già araldo controcorrente ed in opposizione alla Repubblica, fece sì che il numero 16 del 27 giugno apparisse con un volume ridotto ad un terzo e si componesse di solo quattro pagine. Ramiro, per poter far fronte al pagamento dei costi della carta e della tipografia, diede a sua madre alcuni ordini precisi: “Da domani non darmi altro che lenticchie nei due pranzi. Occorre pagare la carta”. Il suo stile rivoluzionario e la sua opposizione allo smantellamento ed alla disgregazione della Spagna lo portano a conoscere le carceri spagnole. Nell’ultimo numero del mese di giugno del 1931 lancia un consegna militante: “mobilitazione armata contro i dirigenti venduti allo straniero. Contro l’inerzia governante. Contro le internazionali marxiste che tramano la dissoluzione della Patria. La violenza, prima missione. La prosa de “La conquista del Estado” può indignare i retorici. Solo ci interessa la validità e l’efficacia. Le rivoluzioni si nutrono di coraggio, non di lamenti, ed in esse vince chi mobilita maggior dosi di sforzo negli scontri. Il popolo deve lapidare gli oratori menzogneri che gli parlano di libertà (di libertà per morire di fame). La libertà è borghese, camerati, e, pertanto, origine e fonte di tirannie. Nostro dovere è inserirci in un regime ispanico che interpreti ed invochi H più duro anelito costruttore. Però i pavidi ed i traditori ingombrano le strade. Per questo chiediamo l’aiuto armato. Non deve sfuggire la possibilità che oggi si offre; che gli autentici spagnoli conquistino il potere e spingano il popolo in un compito: costruttivo di grande ampiezza”. La persecuzione ufficiale è implacabile. Arrestano nel giugno del 31 Ramiro e denunciano e sequestrano i suoi numeri per ordine governativo. La polizia già operava nelle officine ove si impaginava “La conquista del Estado” come successe con il numero di giugno, quando fu ritirata l’edizione con l’inchiostro ancora fresco ed arrestato il principale responsabile. Il venticinque giugno sospese temporaneamente il suo appuntamento con i lettori per riapparire il tre d’ottobre come canto dei cigno per morire definitivamente il 26 dello stesso mese, con l’apparizione del ventiseiesimo numero.
LE GIUNTE DI ATTACCO NAZIONAL - SINDACALISTA
Nel terzultimo numero, prima della chiusura definitiva della La conquista del Estado”, il numero 21, editato il 10 ottobre 1931 si pubblica la struttura del nazional-sindacalismo, con una esposizione di motivi, la loro cadenza di opportunità e la loro solidità ideologia ‘ a. IL la maturazione di una ideologia e l’annuncio della nascita delle JONS (juntas de Ofensiva Nacional-Síndicalista).
“Perché nascono le giunte? La tremenda angoscia di avvertire come giorno dopo giorno la nostra Patria cada in un nuovo pericolo, accettando la strada sleale che le offrono i partiti politici anti-nazionali, ci obbliga oggi a lanciare un’appello agli spagnoli vigorosi, a tutti coloro che desiderano collaborare in forma efficace nel concretissimo compito di organizzare un fronte di guerra contro i traditori.
Invochiamo questa riserva fedele a cui tutti i grandi popoli fanno ricorso quando si avvertono logorati nelle loro proprie viscere da un’azione dissolvente e anarchica. Accadono oggi nel nostro paese cose di una tale indole, la cui esistenza potrebbe giustificarsi solo dopo un violento combattimento con eroiche minoranze di patrioti. Il fatto che queste minoranze non siano sorte ci fa sospettare che fra i nuclei sani del nostro popolo nessuno si è fino ad oggi occupato di propagare con polso e coraggio l’ordine generale di “Servizio alla Patria!”.
Le “juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista” nascono precisamente a causa di questo nostro sospetto che non esista nessuna forza nel panorama politico, che garantisca la difesa eroica degli ideali ispanici. Non ci rassegniamo a che periscano senza lotta i soffi vitali di Spagna, né a che si impadroniscono dei posti di comando nazionali uomini e gruppi educati nella negazione e nel disfattismo.
Orbene; la nostra promessa di ingaggiare una battaglia violenta con le organizzazioni nemiche, non limiterà la nostra azione a gesta distruttrici, bensì aspiriamo anche ad offrire un fascio completo di soluzioni alle difficoltà di ogni ordine che impediscono in questo m ‘ omento la prosperità del paese.
Dov’è il nemico? Tale è l’incremento che hanno avuto nella nostra patria le propagande traditrici, che non necessita molto sforzo per incontrarsi con lui. Sebbene l’ondata marxista sia quella che con maggiore aggressività minaccia di opporsi alla grandezza spagnola, saranno ugualmente considerati dalle juntas come nemici tutti coloro che ostacolano in Spagna, per egoismo di partito o fedeltà a ideali sciocchi e falliti del XIX secolo, la propagazione del nuovo Stato, imperiale, giusto e energico, che il nazional-sindacalismo concepisce.
I partiti marxisti - socialismo - comunismo - sono qualche cosa di più grave d’una concezione economica o meno avanzata. Una supposta crisi della società capitalista, che noi indichiamo piuttosto come crisi della gestione capitalistica, non autorizza che alcune orde semi-selvagge insultino i valori principali di un popolo e sopraffacciano la volontà nazionale. Il risentimento marxista è il maggior nemico e occorre annichilirlo in nome della Patria minacciata.
Non si ammettono patti con il marxismo. E’ incredibile che in Spagna non gli si abbiano opposte opposizioni precise. Solo il disorientamento che si estende oggi su tutta l’area nazionale, annebbiando gli occhi delle persone, giustifica queste vittorie elettorali che le provincie offrono al socialismo.
Le juntas denunciano anche come nemici della Patria tutti coloro che nel difficile frangente che attraversa il paese si permettono ostacolare il progredire delle organizzazioni nazionali. Non saranno mai più giustificati che ora i possibili eccessi in cui le giunte incorrano, in considerazione dei crimini e delle slealtà con cui non si esita nel ferire la sacra unità di Spagna.
Davanti agli occhi vi è la smembrazione nazionale e il triste spettacolo di vedere come si abbandonino ad un’esaltato settore di traditori catalani brandelli di sovranità. Qui vi è l’atmosfera deprimente, l’elogio della bassezza e della vigliaccheria, l’esaltazione di una Spagna frazionata; gli appelli ipocriti alla concordia, tutti questi mezzi per reprimere la protesta e il coraggio degli spagnoli.
L’Azione delle giunte: alle “juntas de Ofensiva Nacional Sindícalista “ si offrono, naturalmente, varie tattiche per lottare contro i suoi poderosi nemici. Ovviamente respingono la tattica elettorale e parlamentare, senza che ciò voglia dire che non la utilizzino in forma occasionale. Sono più adeguati e efficaci ai suoi propositi i metodi di azione diretta, e dato che accusano lo Stato di non vigilare con sufficiente intensità i maneggi dei nemici della Patria, colmeranno con i propri mezzi le deficienze che individueranno.
Non si dimentichi che il nostro nazional-sindacalísmo accetta con allegria la realtà rivoluzionaria. Crediamo che la rivoluzione sia qui indispensabile e debba effettuarsi. Però non siamo disposti a consentire che i mezzi insurrezionali, con la loro grande fecondità creatrice, siano utilizzati esclusivamente dai ciarlatani di sinistra. D’altra parte, il fatto che le Giunte si denominino di “offensiva”, indica con chiarezza il nostro carattere rivoluzionario, vale a dire che ci riserviamo l’aspirazione a sovvertire l’attuale regime economico e politico, e costituire uno Stato di forza spagnola.
E’ indubbio che la tendenza liberale e parlamentare che oggi asfissia la vitalità del paese, cercherà con tutti i mezzi, di svilire e inutilizzare la nostra azione. Le sfere “provvisoriamente” direttrici fanno oggi il possibile per devitalizzare il popolo, spogliandolo dell’eroismo proverbiale della nostra razza. Si cerca così di ridurlo all’impotenza, supplendo con docili sbirri l’attuazione esecutiva del popolo patriota. Vi sono pene, come quelle che meritano i separatisti, gli anarchici e tutti gli affiliati a partiti antinazionali, la cui esecuzione non deve essere delegata a mercenari, bensì allo stesso popolo, a gruppi decisi e generosi che assicurino con la loro azione la completa salvaguardia della Patria. L’azione diretta che le Giunte proclamano come loro metodo prediletto di lotta, non deve intendersi come un’esclusiva pratica della violenza. Piuttosto come una tattica che prescinde dall’attuale stato liberal-borghese, come protesta contro l’inerzia di questo riguarda all’audacia dei gruppi antinazionali.
Però l’azione diretta è anche violenza. Il fatto che la decrepítudine pacifista imponga oggi in Spagna che solo la Guardia Civìl possa battersi contro l’anarchia e respinga, con pavidità analoga a quella d’una verginella, l’uso virile e generoso delle armi contro i nemici della Patria, questo fatto, ripetiamo, non può né deve influire sulla tattica delle juntas.
Chi deve far parte delle JONS? Naturalmente le Giunte che stiamo organizzando non sono incompatibili con la Repubblica. Questa forma di governo non impedisce per nulla l’articolazione di una Stato efficace e poderoso che garantisca la massima fedeltà di tutti ai disegni nazionali. I paritari del nazional-sindacalismo possono, pertanto, reclutarsi fra tutti gli spagnola che accettano senza discussioni la necessità di conseguire a costo di qualsiasi sacrificio l’immediato risorgere della Spagna.
Tutta la gioventù spagnola che sia riuscita ad evadere dal damerinismo demoliberale, con i suoi piccoli permessi e uscite nel putrefatto giardino marxista, e senta vibrare con passione la necessità di reintegrarsi al culto della Patria.
Tutti coloro che comprendono l’urgenza di scontrarsi con la timorosa tristezza del pessimismo spagnolo, indicando mete di gloria al riposo secolare della nostra razza.
Tutti coloro che avvertono lo scricchiolare delle strutture sociale oggi vigenti e desiderino collaborare ad un regime economico anti-liberale, sindacalista e corporativo, in cui la produzione e, in generale, la regolazione totale delle ricchezza, prenda le strade dell’efficacia nazionale che lo Stato, e solo lui, indichi come favorevoli agli interessi del popolo.
Tutti coloro che possiedono sufficiente sensibilità storica per percepire la sacra continuità dei grandiosi valori ispanici e si apprestino a difenderne la loro validità fino alla morte.
Tutti coloro che provano nausea e ripugnanza al vedere vicino a sé la marea trionfante del marxismo, inondante rudemente gli spazi della nostra cultura.
Tutti coloro che riescono a collocarsi nel nostro secolo, liberati dal liberalismo fallito dei nostri nonni.
Tutti coloro che sentono nelle proprie vene sangue irruente, ribelle verso i traditori, generoso per una azione decisiva contro coloro che ostacolano la nostra marcia.
Tutti, infine, coloro che amano il vigore, la forza e la felicità del ‘popolo!
Cosa chiede il Nazional - Sindacalismo? Il nome di “juntas” che diamo agli organismi incaricati dell’azione del nostro partito indica solo la struttura di questo. La parola “ Ofensiva “ indica, come abbiamo indicato già prima, il carattere di iniziativa rivoluzionaria che deve predominare nella sua attuazione.
Orbene e il nazional-sindacalismo? Il carattere ispanico, nazionalista se si vuole, del nostro partito, è cosa che avverte anche il più ottuso in qualsiasi paragrafo dei nostri scritti. Il motore primo del nostro battagliare politico è, effettivamente, un’aspirazione sovrumana di rivalorizzare e ispanizzare anche il luogo più nascosto della Patria.
Assistiamo oggi alla rovina demoliberale, al fallimento delle istituzioni parlamentari, alla catastrofe di un sistema economico che ha le sue radici nel liberalismo politico. Queste verità notorie, che solo un cervello imbecille non percepisce, influiscono naturalmente nella concezione politica ed economica che ci è servita per edificare il programma del nostro nazional-sindacalismo; è d’una serafica ingenuità stimare che l’uso del vocabolo sindacalismo ci unisca a organizzazioni proletarie che si conoscono con questo stesso nome nel nostro paese e che sono il più opposto possibile a noi.
Lo Stato nazional - sindacalista si propone risolvere il problema sociale con interventi regolatori delle Stato nelle economie private. E suo radicalismo su questo aspetto dipende dalle mete che indicano l’efficacia economica e le necessità del popolo. Pertanto, senza gettare alla barbarie d’una zotica negoziazione i valori patriottici, culturali e religiosi, cosa che pretendono il socialismo, il comunismo e l’anarchismo, conseguirà meglio d’essi l’efficacia sociale che tutti perseguono.
In più, questa influenza statale nella sistemazione o pianificazione economica, si raggiunge in uno stato solo con profondissime radici nazionali, e ove non le si possiede, come succede in Russia, ci si vede obbligati a forgiarsi ed improvvisarsi a marce forzate un’idea nazionale.( Considerino questo e apprendano i marxisti di tutto il mondo).
Viva le Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista!” “La Conquista del Estado” condensa in un riquadro vistoso il significato di consegna della nascente teoria:
“Affiliarsi alle Juntas de Ofensiva Nacionale - Sindacalista equivale:
A difendere l’unità nazionale
A combattere il marxismo e l’anarchia
Ad inquadrarsi con gli spagnoli valorosi
A edificare una Spagna grandiosa
A instaurare una -politica sociale ed economica su basi nazionali e solide
Ad intervenire efficacemente in una politica nazionale ed eroica
Affiliamoci in blocco! Propagandiamo per tutta Spagna i fini delle juntas!”.
Nel mese di dicembre del 1931 si stampa e diffonde, su quattro pagine volanti, il Manifesto politico delle juntas de Ofensiva Nacional - Sindicalista. Il testo era preceduto dall’emblema del giogo e delle frecce, simbolo di profonde radici storiche e distintivo del movimento nascente. La polizia ricerca e raccoglie il manifesto che si inchioda come un pungiglione penetrante nella torbida coscienza delle oscure politiche del tempo.
Il programma delle JONS, per il quale si chiedeva la collaborazione degli spagnoli, contava sedici punti ed era il seguente:
“Primo.
Affermazione decisa della unità spagnola. Lotta implacabile contro gli elementi regionali sospetti di separatismo.
Secondo.
Vigorizzazione nazionale, imponendo alle persone ed ai gruppi sociali il dovere di subordinarsi ai fini della Patria.
Terzo.
Massimo rispetto della tradizione cattolica della nostra razza. La spiritualità e la cultura di Spagna vanno connesse al prestigio dei valori religiosi.
Quarto.
Espansione imperiale di Spagna. Rivendicazione immediata di Gibilterra. Reclamazione di Tangeri e aspirazione al dominio di tutto il Marocco e dell’Algeria. Politica nazionale di prestigio all’estero.
Quinto.
Soppressione dell’attuale regime parlamentare, limitando le funzioni del Parlamento a quelle che segnali e indichi un potere più alto. Questo potere si baserà nelle milizie nazional - sindacaliste e nell’appoggio morale e materiale del popolo.
Sesto.
Ordinazione spagnola dell’Amministrazione pubblica come rimedio contro il burocratismo esterofilizzante e accaparratone.
Settimo.
Sterminio, dissoluzione dei partiti marxisti antinazionali. Le milizie suppliranno a questo riguardo l’inazione dei poteri oggi in vigore, spezzando con la loro iniziativa la forza di quelle organizzazioni.
Ottavo.
Opporre la violenza nazionalista alla violenza rossa. Azione diretta al servizio della Patria.
Nono.
Sindacalizzazione obbligatoria dei produttori. Dichiarazione d’illegalità della lotta di classe. i sindacati operai saranno obbligati a collaborare all’economia nazionale, per cui lo Stato nazional - sindacalista si riserva il controllo del loro funzionamento.
Decimo.
Sottomissione della ricchezza alla disciplina che impongano le convenzioni nazionali, cioè, il rigoglio economico della Spagna e la prosperità del popolo.
Undicesimo.
Le corporazioni economiche, i sindacati, saranno organismi pubblici, sotto la protezione speciale dello Stato.
Dodicesimo.
Impulso all’economia agricola. Lotta contro la propaganda anarchicizzante nelle campagne, distruttrice delle più sane riserve del nostro popolo. Incremento alla conduzione comunale e familiare della terra.
Tredicesimo.
Propagazione della cultura ispanica fra le masse, facilitando l’accesso all’Uníversità ai figli del popolo.
Quattordicesimo.
Esame implacabile delle influenze straniere nel nostro paese e loro radicale estirpazione.
Quindicesimo.
Pene severissime per tutti coloro che speculano con la miseria e l’ignoranza del popolo. Rigoroso castigo per i politici che oggi favoriscono traditoriamente lo smembramento nazionale.
Sedicesimo.
Lo Stato nazional-sindacalista affiderà i comandi politici di più alta responsabilità alla gioventù della Patria, vale a dire, agli spagnoli minori di quarant’anni.
Le adesioni debbono essere indirizzate a Avenida de Eduardo Dato numero 7, piano G-9, Madrid, indicando chiaramente nome, età, professione e domicilio.
Madrid, dicembre 1931
Il Comitato Esecutivo, Ramiro Ledesma Ramos, Onésimo Redondo Ortega, Francísco Jimenez García”.
Come avrebbe detto più tardi, nel 1941 Pedro Lain Eritralgo, il primo compito del nazional-sindacalismo, da “La Conquista del Estado “ come quello di tutti i movimenti chiamati “totalitari” o “fascisti”, fu quello dì abbracciare questi due elementi liberi: il nazionale ed il sociale, la Patria ed il popolo,
I SIMBOLI
Inizialmente Ramiro immaginò, come emblema che raggruppasse il pugno di giovani che si affollavano intorno a lui, un leone rampante. Era una figura sviscerata e familiare che si trovava ovunque nei blasoni e negli stendardi sventolanti in mille battaglie della nostra storia. Se come insegna indicava un’idea di forza e di conquista, non simbolizzava tutto l’ampio spettro che egli sognava, per questo incorporò un sole nascente con i suoi raggi dell’alba fra l’artiglio del leone in posizione di propensione e di cattura. Tendere al sole, elevarsi nelle altezze, illuminare, rinascere è il motto già annotato “No Parar Hasta Conquistar”.
Alcuni simpatizzanti lo invitarono ad adottare la croce di Santiago come insegna e stemma, cosa che Ramiro non considerò opportuna per essere stata utilizzata da movimenti monarchici d’ogni specie ed evitare così la confusione politica segnando un orizzonte completamente differenziatore.
Finalmente si trovò il simbolo definitivo; l’emblema che rinserrava nella sua grafica tutta una carica d’emozione storica incontrata con una gioventù che aspirava al protagonismo più esigente ed attuale; il giogo e le frecce, che come “fascio” è nodo e mezzo d’unione, è asse, razzismo e fascio. Il suo maggior vincolo è la forza e la sua espressione grafica le frecce aggiogate nel fascio imperiale. La parola haz - fascio - come s’analizzava nell’editoriale del numero uno de “El Fascio”, è un vocabolo popolare, rurale e storico che comprende dal nostro pane d’ogni giorno fino al “ haz” simbolico di “ Flechas” con cui i Re Cattolici, Isabella e Ferdinando, fecero l’unità della Spagna nel Rinascimento.
Le frecce aggiogate appaiono coniate in quei vecchi reali del 1497 ed il loro disegno descritto nella Pragmatica promulgata dai Re Cattolici in Medina del Campo il dodici giugno di quell’anno, affinché in stampi d’argento “si pongano, da una parte le nostre Armi Reali, e dall’altra parte, l’insegna del giogo mio, il Re, e l’insegna delle frecce mie, la Regina ... “
Il giogo e le frecce sono scolpiti in conventi, castelli e monasteri e h troviamo ovunque, h in San Gregorio di Valladolid come ornamento e autorità, qui nel castello di Mota come blasone, anche sulle sponde del fiume Tago, in Toledo, vicino al suo ponte di San Martino nella cappella reale di San Juan, il profilo del giogo e delle frecce appare in claustri e portali su migliaia di pietre che sono stati muti testimoni della sua storia viva e incandescente. Le frecce oscillavano da cinque a otto ed erano il simbolo grafico dei regni integranti la nazionalità spagnola: Leone, Castiglia, Aragona, Navarra, e Granada fusi dal vincolo aggiogato della coesione e dell’unità.
Fu Nebrija l’induttore del giogo di bue e della rosa di frecce e il suo connubio superò i mari come indice differenziatore spagnolo, completando i leoni e i castelli, le catene, le sbarre degli scudi e la granada dei regni epici dello Stato Spagnolo, come insegna mitologica ed interpretativa: “se a giogo senza le frecce risulta pesante, le frecce senza il giogo corrono il rischio di divenire eccessivamente celeri”, uniti entrambi per aggiustare i ritmi della storia.
L’emblema del giogo e della frecce, sognato. da Antonio Nebrija nel XV secolo - “i membri e pezzi di Spagna, che erano dispersi per vari luoghi, si ridussero e riunirono in un corpo e unità di regno. La forma e abbraccio, da cui quasi è ordinato che debba vivere molto tempo e secoli, non potrà rompere né sciogliere” - adottato dai Re Cattolici Ferdinando e Isabella, offerto nel 1516 all’Imperatore Carlo V “vostra altezza deve venire a prendere in una mano quel giogo che il cattolico re vostro avo vi lasciò, con cui tanti valorosi e superbi si domarono, e nell’altra le frecce di quella regina senza uguali, vostra ava, Donna Isabella, con cui spinse i mori tanto lontano” - si trovava accumulando i costumi del tempo e la legittimità, fino a che nel primo terzo del secolo è spolverato e riscoperto da Ramiro Ledesma Ramos per essere adottato come emblema delle Juntas de Ofensiva Nazional Sindacalista, sotto consiglio di Juan Aparicío, alunno dei corsi di Diritto Politico dell’Università di Granada che aveva sentito dedurre il professor Rios in una disquisizione sullo Stato Fascista, i suoi lettori, asce e verghe, che il simbolo del “giogo e delle frecce” sarebbe H simbolo del fascismo se fosse nato e sorto in Spagna.
Le frecce aggiogate furono recuperate per la Storia presente e contemporanea da Ramiro Ledesma. Aparicìo, il segretario dei giovani firmatari del Manifesto, scriveva un articolo sul “L’Emblema della JONS” in cui si trovavano paragrafi come questo: “Il giogo è la giunta; la giunta, le nostre Giunte, la nostra stessa congiuntura storica. Le frecce trafiggono i domani di Spagna. Trafiggono. Assaltano. Sono l’offensiva d’una razza, d’una gioventù che pretende imporsi ora. Il giogo e le frecce sono anche la Croce; formano una croce. Per i suoi crociati ogni grande impresa è stata una croce nel crocicchio dei tempi. Se A giogo pesa, affliggerà qualcuno. Le frecce alleggeriranno, rallegreranno la nostra buona ventura spagnola. Il nostro scudo odora di ulivo e di fucina, e di pane, e di vino, e di sale e di eternità. L’equilibrio duraturo fra un passato orizzontale - l’ulivo - e l’ascensione verticale, celestiale d’un futuro: le frecce. Bisognerà riconquistare la nostra Patria a colpi di frecce, a colpi di tenerezza. Amorosamente. Duramente. Come si conquista la donna che partorirà i nostri eredi”.
Chi disegnò il bozzetto del simbolo delle Juntas de Ofensiva Nacionale - Sindacalista fu Escribano Ortega, di Burroso, uno dei firmatari del manifesto dei “Galli di marzo” (“La Conquista del Estado”) in cui convergevano le sue qualità di disegnatore con la sua personalità tradizionalista. In un foglio vergò l’obliqua verticalità delle frecce e la massiccia verticalità del giogo e si dispose ad unirli, a assemblarli con la loro convergenza e cosi nacque - rinacque - l’emblema che Ramiro confermò come più genuino e rappresentativo delle nascenti JONS e che poi sarebbe perdurato e sarebbe stato adottato dalla Falange Spagnola nello stesso momento della fusione il 13 febbraio 1934 siglata da Ramiro Ledesma e José Antonio Primo de Rivera, in un attico della Gran Via madrilena.
E quello che nacque come fascio e mazzo d’unità nel Rinascimento fu il simbolo appuntato in una moltitudine di giovani petti del nuovo rinascere delle più recenti idee in una nuova epoca e giunse come haz - fascio - a rinnovare il messaggio ed il linguaggio dei simboli, con tutta la loro carica sacrale, con tutta la loro magnificenza, con tutta la loro profondità...
La bandiera prese come sua insegna i colori rosso e nero, come volendo unire, verticalmente, il “nazionale” ed il “sindacale”. Ramiro non lasciava nulla al fato né alla casualità o all’improvvisazione. Studiò i colori, la loro distribuzione e collocazione nello stendardo. Doveva essere un messaggio senza parole ma di comprensione universale. Doveva contenere i colori più rivoluzionari, il rosso ed il nero, però disposti in frange verticali in contrapposizione con le bandiere d’altri sindacalismi che adottavano colori simili con distribuzione verticale.
Doveva essere una bandiera severa e combattiva, rivendicativa e ascendente. E così rimase definitivamente plasmata in tre bande verticali, la nera centrale e affiancata da due della stessa ampiezza di color rosso vivo.
“EL FASCIO”
Nel gennaio del 1933 Ramiro Ledesma sarebbe stato arrestato ed inviato in prigione per scontare una condanna di due mesi per un reato d’opinione, a causa di alcuni concetti vertenti sul separatismo catalano in un articolo pubblicato ormai quasi due anni prima. Sopportò la sua condanna, visitato in carcere da giovani dallo spirito inquieto che desideravano organizzare nuovi nuclei di JONS nella Università, riuscendo a riunire nel mese di marzo, varie centinaia di ragazzi, che distribuivano manifestini all’Università e si scontravano gagliardamente contro i partisti nel campus dell’Università. 1 Il 16 marzo apparve un nuovo settimanale “El Fascio” in
cui collaboravano letterariamente per la prima volta Ramiro Ledesma e José Antonio Primo de Rivera. A causa di tale apparizione si riunirono con la massima urgenza i sindacati marxisti, i comitati dei partiti di sinistra e si accordarono “con più paura che coraggio” per impedire con la complicità del governo, al tempo loro lacchè, la vendita e distribuzione del settimanale. Poterono così giungere solo alcuni esemplari nelle provincie perché a Madrid la polizia avrebbe preso, nella tipografia ove si stampava, quarantamila esemplari sui 125.000 che annoverava l’edizione. Gli esemplari sequestrati passarono nei sotterranei della Direccíon General de Seguridad proibendosi tassativamente la loro nuova apparizione.
L’idea di creare l’organo d’espressione “El Fascio” fu del giornalista Delgato Barreto, che in quel periodo era direttore del quotidiano “La Nacion”. Delgato Barreto ebbe l’idea del settimanale con chiari obiettivi giornalistici e d’opportunità ed in relazione alla presa democratica del potere di Hitler in Germania il precedente 30 gennaio, e le imprese del fascismo italiano. Per far parte del consiglio di redazione chiamò José Antonio Primo de Rivera, Ramiro Ledesma Ramos, Gimenez Caballero, Rafael Sanchez Mazaz e Juan Aparícío, un gruppo d’intellettuali con messaggi nelle loro penne e nelle loro parole.
I partiti di sinistra e le centrali sindacali, in connivenza col governo, si coalizzarono per impedire lo svilupparsi d’una simile impresa, ritirando il numero dalla circolazione, sequestrando la tiratura, requisendo quanti esemplari poterono in tipografie e chioschi e negando il permesso per la pubblicazione successiva. Così la Repubblica spagnola intendeva la libertà d’espressione, affogando nel silenzio le voci dissenzienti, tagliando in germoglio la nuova pubblicazione.
L’articolo di fondo intitolato “El Fascio” osservava: “Nasce questa rivista sotto il segno e il nome di El Fascio.
Abbiamo voluto lasciare dal primo momento questo nome che sebbene essendo straniero nelle sue origini, oggi si è universalizzato e costituisce un punto di riferimento internazionale. In fin dei conti “El Fascio” è il fascio di verghe con l’ascia Littoria, di cui si serviva Roma per fondare e consolidare la sua “Pax romana”, l’ “orbís romanus”, la prima Europa unita e civile della nostra storia.
Tutto il mondo sa istintivamente ciò che vuol rappresentare questo segno salvatore in contrapposizione ad altri dissolventi. Di contro alla “falce e il martello” del comunismo e di contro a “triangolo e compasso” della massoneria.
Noi aspiriamo da questa rivista ad informare il nostro popolo, a propagare al nostro popolo ciò che è il “fascio” come dottrina, come politica, come azione e come salvezza del mondo. E soprattutto come salvezza della Spagna davanti a tutti i pericoli dissolventi che minacciano di schiacciarla”.
Ramiro Ledesma rispose all’appello della fondazione del “fascio” con un articolo intitolato>lato “Idee sullo Stato” che riproduciamo come documento per approfondire il pensiero ramiriano e per ciò che ha d’anticipazione sugli orizzonti del 1933. Ecco qui il suo contenuto:
“Queste annotazioni sullo Stato partono da un fatto storico: qui vi è, vinto ed inanime davanti a noi, il concetto liberale borghese dello Stato, vissuto in Europa come avanzata rivoluzionaria, vale a dire, come meta illusoria di popoli, per tutto un lunghissimo secolo di vita politica.
Così, la convinzione moderna, attuale, che siano inservibili ed assurde le basi che davano forma alle istituzioni politiche superiori dei grandi popoli, ci situa in presenza d’una formidabile epoca sovvertitrice. Si sono dissolte le supposte voluminose colonne che dalla Rivoluzione francese sostenevano il mito dell’efficacia e del progresso rivoluzionario.
... Tutti abbiamo vissuto accettando come norme per comprendere lo Stato, alcune idee la cui traiettoria precisa derivava dai momenti stessi in cui si incubarono lo Stato liberale, la politica costituzionale moderna ed il parlamentarismo. Lo Stato apparve quindi come un utensile, una mera forma, una cornice ove inquadrare l’attività nazionale di un popolo con l’obiettivo di raggiungere un comodo funzionamento. Vi era allora presente un tipo d’uomo, il borghese, che .una volta spezzate le validità tradizionali, gli imperativi che la storia e l’anima stessa che in ogni popolo imprimevano al loro -futuro, si incaricò di propagandare un nuovo concetto delle istituzioni pubbliche. E quello che. è rimasto fino ai confini della nostra stessa epoca per convertirsi nel vero peso morto, ritardatore, che oggi scricchiola davanti al vigore, alla disciplina e all’ottimismo nazionale, uniforme e rigido, dei nuovi gerarchi europei.
Lo Stato liberale riposa sulla sfiducia e proclama un primato mostruoso. 1 suoi partigiani, i borghesi, cercavano istituzioni per il suo servizio, preferivano quelle che permettevano meglio realizzare i loro propri e peculiari interessi, ignorando ovviamente, o indicando come secondari, quelli che possiamo denominare d’interesse nazionale. Così lo Stato, ripeto, diveniva un mero utensile senza fondamentali legami ad alcunché che trascendesse l’ambizione individualista dei supposti cittadini. Qualsiasi libertà contrapposta allo Stato era, perciò, lecita, almeno in forma teorica, dato che lo Stato stesso era modificabile, revisionabile nel suo più profondo viscere, a qualsiasi ora del giorno parlamentare, senza soggezione né rispetto verso impegni tradizionali, compresi quelli firmati con il sangue, l’eroismo, la grandezza ed il genio creatore del proprio popolo nei secoli precedenti.
Lo Stato liberale nasce mentre trionfa in Europa la cultura “razionalista”. Una Costituzione è, prima di tutto, un prodotto razionale, che si nutre di questo peculiare ottimismo che caratterizza ogni nazionalista: quello d’essere sicuro dell’efficacia e del dominio, su ogni possibile realtà, dei prodotti legislativi della sua mente. E la vita nazionale, il genio nazionale, l’autentico vibrare dei popoli, era conosciuto, ignorato, e si legiferava, si speculava sull’uomo, cosi in astratto, sull’individuo, e “nazionale” - questa parola circolò in tali periodi politici, però ora vedremo in che senso erroneo - era più che la “totalità”, il gruppo sociale, cosa di numeri, ciò che poi si sarebbe chiamato, nella lotta fra gruppi e partiti, la “maggioranza”.
E se lo Stato era solo un utensile, poté concepirsi la possibilità di organizzare qualche cosa come una fabbrica di tali oggetti, di antefatti costituzionali, materia d’esportazione per i popoli il cui “ritardo o mediocrità rivoluzionaria” impedissero di costruire o realizzarli da se stessi. Tutti sanno che il moralista inglese Benthan si prestava ben volentieri a far Costituzioni su ordinazione, destinate ai popoli delle più varie latitudini.
La prima conseguenza di tutto ciò, l’effetto immediato e sicuro dello Stato liberal parlamentare fu devolvere ai gruppi e partiti politici il compito d’indicare “ogni ora” la strada da seguire; e di fare dello Stato e della vita nazionale oggetto di bottino fugace, senza rigorosa fedeltà a nulla; originò tutte le miserie politiche, tutte le dispute vergognose, tutte le ingiuriose offese al corpo ed all’anima del “genio nazionale” che possono facilmente seguirsi in qualsiasi periodo di qualsiasi popolo ove abbia dominato uno Stato liberal parlamentare.
Nell’ultimo terzo del XIX secolo qualche cosa venne a turbare la facile e semplice ideologia politica che ispirava lo Stato liberale. Fu l’evento marxista, la presenza del marxismo. Con una nuova consegna rivoluzionaria ed alle spalle d’un tipo umano totalmente differente da quello che diede impulso e realizzò la Rivoluzione francese. Il marxismo illuminò alcune differenti mete rivoluzionarie per il proletario. Separò gli operai dalle idee della borghesia liberale relativamente ai fini, e sopra tutto - cosa che interessa sottolineare in queste rapide note che ora facciamo - li fece non solidali, ecco, li indirizzò su una tattica politica che scompigliò i tranelli liberali. Il marxismo proclamò la lotta di classe e introdusse la violenza nei pacifici mezzi costituzionali che lo Stato liberale presentava proprio come sua maggiore gloria: la tolleranza, la solidarietà della discussione, l’inclinazione rispettosa verso l’opinione della maggioranza, il compromesso della lotta elettorale come unica via per le dissidenze, etc etc. Tutto questo mediocre equilibrio è ciò che il marxismo fece tremare con la sua sola presenza. 1 partiti operai marxisti andavano, si, alle elezioni, però non cancellavano dalle loro iscrizioni la denominazione di rivoluzionari, non rinunciavano all’attuazione violenta, all’imposizione coattiva delle sue masse, beffando così l’ortodossa dottrina liberale, presso cui peraltro si rifugiavano quando tornava loro comodo.
Durante la validità dello Stato liberale il marxismo era, perciò, un lottatore avvantaggiato. E così avvenne che giunse quasi ad imporsi. Poneva al suo servizio tutti i mezzi legali che l’ingenuità liberal parlamentare offriva ai suoi propagandisti nazionali, ed in più contava sulla decisa efficacia che spetta a qualsiasi partito che possiede aspetto e modi rivoluzionari, che predica la sovversione violenta per illuminare un “mondo nuovo ove non vi siano ingiustizie né dolori”. Sta in questo il giogo avvantaggiato del marxismo nella sua lotta con gli altri gruppi che praticano nello Stato liberale, con un po’ dì sincerità, le loro convinzioni e la loro propaganda, o con coloro che si rinchiudono nella farsa che emana da una rete di capipopolo o d’arguzie avvocatesche, od anche con coloro che utilizzano una violenza transitoria senza radici ideali né giustificazioni davanti alla Patria. Contro tutto ciò, il marxismo apparve invulnerabile. Così si verificò che durante la guerra si impose in Russia e canalizzò tali agitazioni ed impulsi sovversivi verso altri popoli, che la sua culminazione produsse la presenza sulla scena d’una nuova efficacia, d’una tattica, d’una resurrezione del genio nazionale d’un popolo, d’un nuovo Stato, infine, di tale atteggiamento storico, che ha diritto alla massima attenzione universale. Alludiamo al Fascismo Italiano, oggi - nel 1933 - già quasi trionfante nella sua ansia di dare alla luce nuove istituzioni politiche. Fra queste, in testa a queste, lo Stato Fascista.
Quindi lo Stato non è per noi ciò che era e rappresentava per la società liberal-borghese dei nostri nonni ed anche dei nostri padri. L’uomo attuale, specie quando è giovane, trova nello Stato un significato differente, che lo vincola a nuovi compiti e valori, cosa che significa la reintegrazione piena della sua gerarchia alla sostanza nazionale, alla espressione nazionale che giace nelle viscere dei grandi popoli,
Siamo ora, perciò, in presenza dello Stato nazionale. Il suo primo mandato esecutivo è battere il nemico marxista con slancio trionfale e prontezza intelligente. Vale a dire risuscitando il culto della Patria e rivendicando per sé l’autentica angoscia “sociale” della nostra epoca.
Per distruggere il garbuglio di vuoti particolarismi che un secolo di libero scambio ideologico, di orgia di partiti, aveva creato intorno al fecondo concetto dello Stato, la più recente politica europea si è servita di questa vittoriosa attuazione il partito unico, Un partito totalitario interpreta per sé la vigorosa risurrezione della vita nazionale, fino ad ora misconosciuta o ingiuriata dai partiti, e respinge la collaborazione di questi partiti, dissolve la stessa base che serviva da sostegno legale ai partiti, ossia, il “diritto” a rivedere il problema della stessa esistenza nazionale, e, per ultimo, proclama ed impone la sua dittatura. Ed è qui che questa immediata contraddizione di “partito unico”, imprescindibile tappa per il sorgere dello Stato nazionale, appare risolta nel suo transitorio compito polemico di distruggere i partiti, nella sua empirica e forzata utilità. come realizzatore strategico della rivoluzione contro l’antico ordine.
Esempi mondiali di questa strada sono oggi il partito fascista italiano ed il nazionalsocialismo tedesco, fra i resuscitatori e gli animatori della “idea nazionale” contro la negazione marxista, e il partito bolscevico russo, come attacco cieco e catastrofico, però nella linea e nello spirito peculiari di questo secolo.
Lo Stato è già per noi la categoria suprema. Perché o è l’essenza stessa della Patria, il fondamento stesso delle supreme coincidenze che garantiscono l’andare nazionale nella storia, oppure il puro nulla. Nel primo caso, lo Stato è e deve essere una gerarchia inaccessibile alla dissidenza. La Nazione nella sua pienezza di organismo storico. Perciò sono così, ogni giorno più assurdi questi affanni di presentare Stato e Nazione come qualche cosa di differente e addirittura nemico, come esseri in guerra e difesa giornaliera, uno contro l’altro. Questa concezione, che ci riusciva inspiegabile avvertire in penne di carattere e sentimento tradizionalista, è figlia diretta dei luoghi comuni politici che servirono di base allo Stato liberale. perché se la Nazione è l’insieme di “interessi e aspirazioni individuali che nutrono e formano una società”, come pensa il liberalismo, è chiaro che vi sia e possa essere conflitto fra lei e lo Stato. Però una nazione non è questo. E un fascio di coincidenze superiori, trascendenti l’individuo ed il suo destino, che rappresentano uno spirito storico. E’ una Patria. E l’idea di Patria, il sentimento umano della Patria, è nei grandi popoli un universo imperiale, qualche cosa che per la sua stessa essenza respinge l’idea d’un nemico interno ai suoi confini, d’un discorde, d’un dissidente. Lo Stato nazionale si nutre, perciò, di elementi indiscutibili, innegabili. Il suo simbolismo è l’unità, la disciplina, il sacrificio e la fede militante nelle sue creazioni.
Vi è qui lo Stato militante che perfeziona il nostro secolo. La sua logica e giustificazione, la sua battaglia ed il suo brio. Uno Stato impetuoso e forte, che si avvicina alle gerarchie assolute. Ed ora conviene distruggere un altro luogo comune che annebbia ugualmente alcuni spiriti tradizionalisti. Si crede erroneamente che lo Stato liberal borghese sia lo Stato forte per eccellenza, dato che annichilì e sottomise al suo giogo le corporazioni e le associazioni economiche. Però non è così. La sua supposta forza è la forza fortuita, da gendarmeria, però senza alcuna realtà profonda. E questo bagaglio armato al suo servizio confessa, come segnala Sorel, un’origine pittoresca. Ogni trionfo rivoluzionario demoliberale trascina con sé un aumento della forza pubblica per consolidarsi ed una centralizzazione - non unificazione - frenetica nelle deboli mani dei governi.
Queste annotazioni sullo Stato hanno un senso attuale, dato che traggono origine dagli avvenimenti politici europei di questi anni, quasi di queste ore. Però non voglio trascurare di insinuare un esempio vigoroso tra questi concetti che oggi presiedono le più recenti elaborazioni politiche: lo Stato spagnolo del XVI secolo. L’architettura funzionale dell’impero cattolico di Filippo Il. Non si è insistito su questo precedente - non sull’esteriore e superficiale, bensì sull’efficacia creatrice ed anche sulla logica autoritaria - diretto dello Stato Fascista d’Italia, romano nel gesto e nell’aspetto, però con tendenza al vigore, alla disciplina e allo spirito di “unità” di cultura, di coscienza nazionale che caratterizzavano lo Stato spagnolo del XVl secolo.
Non si tratta, dunque, di creare e dar nascita a nazionalità artificiali, false, secondo l’esempio balcanico o le norme che in Versaglia presiedettero l’annichilimento del Centro Europa e quelle che maneggiano qui i disfacitori dell’unità spagnola. Ciò che appare oggi come imperativo drammatico che ci conduce al nuovo Stato, in faccia alle avanzate recise e violente del marxismo, è il grido di salvezza nazionale, di risurrezione nazionale, che si avverte nei popoli dotati di forte responsabilità e tradizione, nei grandi popoli creatori di storia.
E vi è un’altro elemento, un’altra colonna fondamentale dello Stato. E’- l’angoscia sociale che giustamente domina oggi le masse. Il nuovo ordine economico consegna allo Stato, inesorabilmente, la piena funzione di presiedere con decisione alle varie fasi del conflitto. E solo nel nome di alcune finalità nazionali (... ) che, trova lo Stato autorità e giustificazione ai suoi disegni. Il nuovo ordine corporativo deve servire non questo o quegli interessi particolari, o di “classe”, bensì finalità che trascendono tutto questo, finalità d’impero, di marcia, di piena vita nazionale. Il marxismo agita oggi le classi con l’identica conseguenza sovversiva e perturbatrice con cui il liberalismo agitò nella ribellione economica gli individui. Orbene, ecco qui il compito dello Stato nazionale, col suo seguito d’attributi per i quali non vi è la possibilità che siano disconosciuti come giusti: la gerarchia di finalità, disciplinando i fattori della produzione - non la produzione come tale - e del consumo. Dunque un’economia è qualche cosa che non limita il suo compito al produrre ricchezza per alcuni individui o alcune classi. 1 suoi sono fini nazionali, che riguardano l’esistenza nazionale nella sua base più profonda. Ha, perciò, ragione il nuovo Stato contrapposto alla concezione líberal borghese e contrapposto alla concezione marxista (quest’ultima, tappa maledetta - sebbene per fortuna mutilata - nel processo di de nazionalizzazione dell’idea dello Stato).
Ed avviene che questi movimenti che sorgono al passo del marxismo opponendogli l’autenticità popolare, Inefficacia distributiva delle sue economie e la decisa volontà di resistere, siano ora quelli che inalberano nel mondo i miti ottimisti ‘ della rivoluzione. Essi si fanno oggi rivoluzionari per sovvertire l’ordine liberal-borghese e annichilire la marea marxista. 1 gruppi nazionali sono oggi, dunque, quelli che gestiscono l’iniziativa rivoluzionaria, quelli che praticano nella tappa precedente alla conquista dello Stato l’azione diretta contro le organizzazioni rosse. E quelli che mantengono col polso armato, nella tappa susseguente al trionfo, il diritto ad una cultura e ad una dignità nazionali “.
UNA CONFERENZA NELL’ATENEO DI MADRID
L’istituzione madrilena dell’Ateneo aveva una tradizione libero pensatrice, fortemente condizionata dalla massoneria, nelle sue linee più note, e di chiara inclinazione verso il repubblicanesimo di professione. Come centro culturale patrocinava diverse iniziative e varie manifestazioni artistiche. Ramiro era socio dell’Ateneo madrileno e assiduo frequentatore della sua ben dotata biblioteca da cui estraiamo dalle sue vecchie schede alcuni fra i libri e autori consultati da Ramiro nella sua sala di lettura.
Nel 1932, come membro dell’Ateneo, Ledesma indirizzo una richiesta alla sezione di Letteratura del circolo affinché, nella sua qualità di socio dell’ente, gli fosse concessa la tribuna del Centro. La petizione mise negli impicci i membri della commissione che, sebbene desiderassero difendere il loro eclettismo, non avevano piacere che Ramiro Ledesma, il collaboratore della “Revista de Occidente”, di “La Gaceta Literaria “, di “El Sol”, avesse accesso al palco e ancor meno che, come stabilivano i loro statuti, fosse presentato da un membro della Giunta. Dato che non trovarono argomenti giuridici per il diniego, fecero presentare l’oratore da Antonio de Obregon, il membro più giovane della giunta di governo e che occupava la carica di Segretario della Sezione. Ramiro si presentò davanti all’auditorio con una camicia nera ed una cravatta rossa.
. Gli “ateneisti” complottarono un boicottaggio attivo all’orazione di Ramiro Ledesma, per cui accorsero in aula disposti ad interrompere e far tacere l’ “animoso giovane fascista”. Lontano dagli eventi della sala Ramiro pronunciò un po’ più della terza parte del suo discorso. Ramiro concatenava i suoi pensieri con totale indipendenza dalle manifestazioni esteriori che erano state preordinate. 1 marxisti ed i sinistrorsi intervenuti non cessarono di proferire insulti all’oratore, che dissertava sereno senza un gesto d’alterazione. I marxisti vedendo che non riuscivano a far tacere Ramiro tentarono l’insulto personale ed anche un principio d’aggressione che fu decisamente scoraggiato da Diego Aparicio ed una dozzina di ragazzi jonsisti. I marxisti tentarono il linciaggio del giovane intellettuale cosa che fu evitata dal deciso intervento del gruppo d’azione jonsista che accompagnò Ramiro; fra questi si trovavano, oltre a Diego Aparicio che guidava il gruppo, Vallés e Compte. Rompendosi, durante la scaramuccia, un vetro della porta, i sinistrorsi atterriti dal rumore dei vetri che cadevano e si frantumavano al suolo, fuggirono sbigottiti credendo che si trattasse dello scoppio di una bomba. L’episodio fu riportato dalla stampa madrilena e rimase come un simbolo della figura ieratica di Ramiro dissertante, e furono sottolineati i mezzi di violenza utilizzati dai socialisti e marxisti contro le premesse irrefutabili del giovane rivoluzionario.
ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA
Coincidendo con il secondo anniversario della Repubblica spagnola, si scelse il 14 aprile del 1933 per portare a termine un’azione di commando, di lotta urbana, di guerriglia inaspettata, contro i più mordaci nemici della Patria. Per questo si selezionarono cinque militanti jonsisti che avrebbero dovuto essere i protagonisti della giornata. Il giorno indicato per portare a termine l’operazione, da parte della pattuglia jonsista, aveva il senso di effemeridi e di simbolismo.
Alle undici del mattino i cinque componenti la “pattuglia” si riunirono nella Gran Via madrilena, vicino alle vetrine della libreria Franco Spagnola, per dirigersi una volta raggruppati alla calle de Eduardo Dato numero 9, terzo piano, ove avevano la loro sede gli “amici dell’Unione Sovietica” centro permanente di sovversione marxista. Nel locale si trovavano, in quel momento, due persone, il comunista Wenceslao Roces ed un’altro sconosciuto i quali, vedendo davanti a sé i giovani, uno dei quali impugnava una pistola per evitare le grida dei due rossi, impallidirono di terrore. Mentre due membri della pattuglia jonsista vigilavano i loro ostaggi, gli altri tre distrussero il mobilio e si appropriarono degli schedari dell’associazione, concludendo il colpo di mano con la legatura e l’imbavagliamento dei due marxisti ciascuno ad una sedia che ancora restava in posizione verticale, conclusa la qual cosa uscirono passeggiando all’Avenida de Eduardo Dato e andarono ad incontrarsi nella libreria Franco - Spagnola con Ramiro, che stava vigilando l’operazione pronto ad intervenire se fosse fallito il piano previsto.
Prima di abbandonare l’abitazione, il giovane jonsista Ramón Ruiz Alonso inchiodò, alla porta in legno che dava accesso al locale, un manifesto di “La Conquista del Estado” affinché non restasse alcun dubbio sull’identità degli assalitori, la qual cosa provocò l’immediato arresto del segretario Juan Aparicio che appariva come firmatario del manifesto e che non potendolo Roces identificarlo come uno degli assalitori, fu posto successivamente in libertà.
Il colpo di mano si preparò sotto un triplice prisma fissandosi nello stesso una trinità d’obiettivi, tutti i quali furono completamente raggiunti con l’ “operazione anniversario”: 1) premunirsi, sequestrando i piani della sovversione preparata dal maoismo per salire al potere ed imporre in una data propizia la dittatura del proletariato; 2) appropriarsi degli schedari degli “Amici dell’Unione Sovietica” per conoscere la lista completa e strappare la maschera ai propagandisti dissimulati: 3) preoccupare il Governo e le sue sette con l’audacia e l’importanza delle JONS.
Il timore scese fra la classe politica ed i parlamentare. L’evento di questa azione programmata militarmente, con la cronometrica precisione della scelta della data - anniversario della Repubblica - dell’ora e la tranquillità con cui fu condotta a termine fece tremare le vittime e le guardie, provocò una riunione urgente del gabinetto ministeriale, fu urgentemente chiamato Andrea Casaux, direttore Generale della Polizia, alla presenza di Casares Quíroga, all’epoca ministro degli interni.
Da Mosca giunse una consegna precisa “Schiacciate il Fascismo! Iniziò così in Italia e Germania ed ora vedete il risultato! Strangolate il fascismo o finché è in fasce!” Casares Quíroga scatena gli arresti in massa di persone che avessero, in qualche misura, potuto vedersi legate alle idee fasciste, e lanciò sulla stampa una campagna allarmistica parlando di “Complotto” contro la Repubblica. Le notizie si ingigantiscono e la polizia opera con rigore e decisione. Prima del trascorrere desse quarantotto ore del fatto i detenuti sono più di trecento. La mobilitazione è generale e fra i ministri, parlamentari, personaggi di primo e secondo piano corre un brivido d’inquietudine e timore. Il giudice convocò alla sua presenza Roces affinché cercasse d’identificare gli assalitori, fra le varie centinaia di persone fermate, per il solo sospetto che potessero simpatizzare con le idee del fascismo. Ad uno ad uno passarono davanti al suo sguardo inquisitore e non poté riconoscere nessuno di quegli imberbi giovani che avevano preso d’assalto il centro degli “Amici della Russia”.
Pur non essendosi potuti identificare i membri integranti il commando, nella stessa pretura, e su insistenza del ministero degli interni, si fece un’ampia selezione dei detenuti, che furono trasferiti in cellulare alle tre del mattino al carcere penale di Ocaña, a sessantacinque chilometri da Madrid, senza alcun capo d’accusa e solo come possibili simpatizzanti con il fantasmagorico “Complotto” del 14 aprile. Fra i quasi cento arrestati che entrarono in prigione si trovavano Ramiro Ledesma, Aparício, Compte e i più scelti fra i “vecchi” camerati. Le retate d’arresti si estesero a tutto il territorio. L’ordine emanato da Mosca non fu disatteso e fu sintomatica la chiamata del direttore generale delle prigioni al comandante del penale di Ocaña per vedere se lì si fossero potuti ricevere duemila detenuti. E’ da sapere che in quel periodo Ocaña era il carcere di massima sicurezza. Il delitto per il quale si trovavano dietro le sbarre non era annoverato in alcun Codice Penale; si comunicò loro che erano detenuti per “confabulazioni”.
La libertà sarebbe giunta loro un po’ più tardi tramite una “amnistia” come risultato delle votazione elettorali in cui le assemblee diedero un risultato avverso alle sinistre e si iniziò un periodo di coalizione di destra. Furono amnistiati d’un, delitto inesistente, perciò posti in libertà.
t curioso ricordare che al termine d’una visita carceraria, che la madre di Ramiro aveva ottenuto sfruttando tutte le opportunità, un giovane si offrì di portarla fino a Madrid, cosa che l’anziana signora accettò; quel giovane si congedò con le seguenti parole: “Signora, sua figlio ha un gran talento, vale molto. A sua disposizione. Sono, José Antonio Primo de Rivera “.
LA RlVISTA “,JONS”
Il cinque aprile 1933 Ramiro Ledesma conferiva a Lisbona con Onesimo Redondo, A leader jonsista di Valladolid, la capitale della Castiglia, e da questo incontro sorse la necessità di pubblicare un’organo teorico del jonsismo e l’incalzante necessità di definire, chiaramente, le nuove correnti ideologiche, riunendo intorno alla rivista le penne più eminenti e sagaci della gioventù rivoluzionaria e patriottica. Onesimo si trovava esiliato in Portogallo, era avvocato ed era uno dei tanti perseguitati dalla Repubblica a causa delle sue discordanze con il sistema.
La rivista “JONS” apparve ai primi di maggio e fu pagata con duemila pesetas che Ramiro era riuscito a riunire. La redazione dell’organo di stampa del partito si ubicò nel centrale “Café del Norte”, ove i jonsísti stabilirono il quartier generale.
José Luis Jerez Riesco