Prima pagina
Siamo allergici alla definizione "giornata del ricordo", non ci ritroviamo in questa definizione, come se ci fossero dei giorni specifici per ricordare qualcosa, e poi per altri 364 giorni il vuoto cosmico. Non ci piace il semplice ricordo, non ci piace la richiesta di "giustizia e verità" per i Martiri delle Foibe.
Non sembri eresia, è semplicemente il rifiuto di fermarsi a celebrazioni che nulla hanno ne di Sacro ne di senso di ribellione ma soltanto una passerella per i politici di turno. Sorridiamo, in questa giornata di tripudio di nastri tricolore. I caduti uccisi dalla polizia inglese del 1953 non hanno posto, loro sono scomodi, non possono essere riciclati dal pensiero unico.
Ci disgusta la duplice operazione in atto. Da un lato libri negazionisti e dall'altro immagini da "libro cuore" di due presidenti mano nella mano. Il risultato è che ciò che è riciclabile viene riciclato e trasformato. Da Martiri uccisi dai conquistatori dell'Europa a vittime innocenti di una guerra scatenata dai "due che non si possono nominare".
Sono bravi, prima nei libri di scuola non c'era nemmeno l'accenno, ora viene riportato come un orrore della guerra. Conflitto che vide l'invasione e la spartizione dell'Europa. La capacità di manipolazione è enorme, come è enorme la vigliaccheria di chi si risveglia un giorno l'anno e poi spofonda nel suo pacifico letargo.
I Martiri delle Foibe, i bimbi di Gorla, i polacchi di Katyn, i tedeschi di Dresda, i cosacchi dell'Armata Bianca, i giapponesi di Hiroschima e Nagasaki, le SS della Charlemagne fucilate, le donne tedesche violentate, le "gesta" in ciociaria delle truppe marocchine.... ecco cosa dobbiamo avere nell'animo.. cosa dobbiamo sentire.
Non deve essere un ricordo.
Noi non ricordiamo, noi combattiamo per loro, con loro. Armati di Cultura, Coraggio, Onore.
La Fenice
Aspettando un altro 10 febbraio
Trieste, aspettando un altro 10 febbraio.
Si avvicina la data del cosiddetto "giorno del ricordo", e molteplici sono le iniziative, nelle piazze ed anche on line, in tutta l'Italia per onorare la memoria dei martiri delle foibe ed anche la tragica vicenda di Norma Cossetto.
Anche da sinistra, ancora una volta, si è visto muoversi il carrozzone giustificazionista e negazionista, per loro i massacri e l'esodo sono stati semplicemente la reazione alla " violenza ed all'occupazione fascista ".
Come in un gioco delle parti, alla fine si aggiunge di solito la Slovenia, e a volte anche la Croazia, in nome del " valore antifascista " e della " gloriosa lotta di liberazione ", paradossalmente ad alzare la voce sono quelli che a tutt'oggi si trovano ad occupare terre storicamente italiane ereditate dal disfacimento della Jugoslavia comunista.
Nessuno sembra ricordare, invece che l'estate scorsa Mattarella, non pago di aver premiato a nome della sua repubblica lo scrittore sloveno Boris Pahor, una persona che ha negato, e nega, i massacri delle foibe, si è anche recato a rendere omaggio, su imposizione diplomatica del suo collega sloveno, Borut Pahor, ai fucilati di Basovizza, ai cosiddetti " eroi antifascisti ". Ma la storia, materia scientifica racconta che furono condannati per un attentato dinamitardo compiuto a Trieste il 10 febbraio del 1930 in piazza Benco, presso la redazione de "Il popolo di Trieste". A causa dell'attentato morì Guido Neri, altri tre rimasero feriti. Gli attentatori facevano parte della Borba - Tigr, Tigr sarebbe l'acronimo di Trieste, Istria, Gorizia e Rijeka, quest'ultimo è il nome slavo della città di Fiume: un'organizzazione slava che pretendeva l'annessione dei territori orientali d'Italia all'allora Regno di Jugoslavia, e per questo agiva armata contro l'Italia, contro gli italiani ed anche contro gli slavi che convivevano in pace con gli italiani.
In quattro furono condannati a morte, nel 1930, sia per l'attentato dinamitardo al Popolo di Trieste sia per altri atti terroristici. Il processo si svolse alla presenza di differenti osservatori internazionali. per diversi episodi, dopo un regolare processo, svoltosi alla presenza di osservatori internazionali. Ogni commento pare superfluo.
Il 10 febbraio, oltre ad essere la data della partenza dell'ultima nave di esuli da Pola, è anche la data della firma del trattato di Parigi, un trattato di pace, che per l'Italia è stata una resa senza condizioni, che ha portato alla perdita delle terre d'Istria, Fiume e Dalmazia, ed all'occupazione inglese e americana di Trieste fino al 26 ottobre del 1954, gli strascichi della seconda guerra mondiale sono durati 9 anni.
Il 10 febbraio del 1947 a Pola, in una gelida mattinata, il comandante inglese della città, ridotta già ad una enclave circondata dai comunisti iugoslavi, alleati di inglesi e americani come della " resistenza " italiana e del regio esercito badogliano, passa in rassegna le truppe tra pochi infreddoliti polesani seriamente preoccupati per il loro futuro, quando viene raggiunto dai colpi della pistola di Maria Pasquinelli: l'unico vero segnale di riscatto da parte italiana, al pari successivamente di quello dei caduti di Trieste del 1953, caduti sotto il piombo inglese.
"Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai quattro grandi, i quali alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre all'Italia, condannandolo o agli esperimenti di una nuova Danzica o, con la più fredda consapevolezza, che è correita', al giogo jugoslavo, oggi sinonimo per le nostre genti, indomabilmente italiane, di morte in foiba, di deportazione, di esilio. " Questa la rivendicazione di Maria Pasquinelli.
Sarà processata a Trieste e condannata a morte, la pena sarà poi commutata in ergastolo, per uscire dal carcere nel 1964 dopo aver ottenuto la grazia presidenziale.
Al processo, pur rivendicando di non aver voluto sparare alla divisa inglese in quanto tale ma di averlo fatto in quanto in quel momento rappresentasse i quattro vincitori del secondo conflitto mondiale, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica, dichiarava anche "Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d'ora dichiaro che mai firmero' la domanda di grazia agli oppressori della mia terra".
Il giorno successivo a Trieste comparivano dei manifesti con scritto " Dal pantano è nato un fiore, Maria Pasquinelli. Viva l'Italia! ".
Sarebbe bello che il 10 febbraio in tutte le città italiane apparissero un domani dei manifesti con questo testo, e che non resti tutto ridotto solo ad un ricordo degli infoibati, dovrebbe essere ben chiaro che le responsabilità non devono ricadere solo sui comunisti iugoslavi, ma anche sui loro alleati: americani, inglesi, e quella " resistenza italiana " costruita nel sangue e nella menzogna. Sarebbe, forse, il miglior modo di ricordare il 10 febbraio, l'esodo ed i massacri nelle foibe come gli annegamenti nel mare Adriatico e le esecuzioni, del nostro popolo d'Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Non dimentichiamo
Noi non dimentichiamo
Il giorno 10 febbraio, il giorno del ricordo della tragedia dei territori orientali, della Venezia Giulia, dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, noi lo viviamo sempre, tutto l'anno, fa parte della nostra storia, e da sempre, anche da quando nessuno sapeva e nessuno ne parlava, o meglio faceva finta di non sapere e preferiva non parlarne, anzi proprio non bisognava parlarne.
Non dimentichiamo l'attentato del 10 febbraio del 1930, a Trieste, alla sede del giornale Il popolo di Trieste, in cui morì Guido Neri ed altri tre rimasero feriti, né gli altri attentati compiuti in precedenza da una formazione filo iugoslava che combatteva in armi per l'annessione all'allora Regno di Jugoslavia di Trieste, la nostra città, dell'Istria, di Gorizia e di Fiume, e non dimentichiamo che Mattarella la scorsa estate ha riconosciuto pubblicamente questi "eroi antifascisti".
Non dimentichiamo i colpi di pistola sparati da Maria Pasquinelli contro l'ufficiale britannico De Winton, il 10 febbraio 1947, a Pola mentre passava in rassegna le sue truppe prima di lasciare la città, divenuta ormai un'enclave italiana, in mano ai partigiani comunisti, gli stessi che non avevano esitato a far esplodere delle mine su un'affollata spiaggia polesana in estate, nel corso di una gara di canottaggio, dando luogo così alla più grande strage della storia italiana, una strage " dimenticata" da questa repubblica, una strage comunista.
Non dimentichiamo la pulizia etnica subita nostro popolo, non dimentichiamo gli annegamenti nelle acque della Dalmazia, non dimentichiamo i massacri nelle foibe, come non dimentichiamo che gli stessi massacri li hanno subiti gli anticomunisti serbi, croati e sloveni, comprese, a volte, anche le loro famiglie, ed anche i religiosi.
Non dimentichiamo che alleati delle bande comuniste di Tito erano gli americani, che bombardarono Zara radendola al suolo, gli inglesi, che fermarono una colonna di Ustascia, con al seguito i loro familiari, verso il confine con l'Austria, consegnandoli quindi alla furia omicida dei boia comunisti che non risparmiarono vecchi, donne e bambini. Non dimentichiamo che gli stessi inglesi e americani occuparono Trieste dal 1945 al 1954 e che non esitarono a sparare nel 1953, disscacrando una Chiesa, in spregio a tutte le convenzioni internazionali.
Non dimentichiamo che alleati e complici delle bande titine erano i comunisti e la cosiddetta "resistenza italiana". Non dimentichiamo le parole di Togliatti "I veri interessi italiani consistono nel collaborare perché Tito occupi la Venezia Giulia", non dimentichiamo la " grande amicizia " tra Tito e Pertini, al punto che quest'ultimo al funerale del boia pianse sulla sua bara, non dimentichiamo i firmatari della "costituzione più bella del mondo", non dimentichiamo la medaglia concessa da Saragat né i rapporti con gli Agnelli. Non dimentichiamo l'infamia del Trattato di Osimo con cui l'italietta democristiana di Moro regalava per sempre i territori orientali alla Jugoslavia del boia.
Non dimentichiamo il trattamento riservato dagli iscritti del Partito Comunista agli esuli al porto di Ancona ed alla stazione di Bologna, non dimentichiamo il latte versato sui binari, ed il clima di linciaggio nei confronti di chi secondo i rossi "aveva il torto" di fuggire dal "paradiso comunista" di Tito.
Non dimentichiamo quegli esponenti della minoranza slovena in Italia aderente al Partito Comunista, non dimentichiamo che questi si opponevano alla realizzazione della Foiba di Basovizza come monumento nazionale, accampando risibili "diritti" su fantasiosi campi di patate.
Non dimentichiamo che nei paesi della provincia di Trieste ci sono ancora dei monumenti scritti in slavo e con la stella rossa, non dimentichiamo la scuola intitolata al primo maggio del 1945, ed i festeggiamenti del primo maggio nei paesi carsici, non dimentichiamo il primo maggio 1945, l'inizio dei 40 giorni dell'occupazione comunista iugoslava della città di Trieste.
Non dimentichiamo che ancora oggi c'è chi nega e giustifica i massacri delle foibe, e tra questi uno, uno scrittore, è stato premiato con una medaglia da Mattarella l'estate scorsa.
Non dimentichiamo la Slovenia, uno stato grande quanto una regione italiana che non perde occasione di intromettersi in questioni italiane blaterando di una " gloriosa lotta di liberazione " dall'occupazione fascista, mentre è proprio la Slovenia stessa ad occupare territori italiani su tutto il suo litorale.
Non dimentichiamo che in Italia abbiamo concittadini che invece di chiamare Fiume o Ragusa con il proprio nome, le chiamano Rijeka o Dubrovnik, esattamente come lo fanno i media nazionali.
Sabato 13 febbraio, alle ore 17.30 saremo presenti presso la Foiba di Basovizza, ancora una volta idealmente uniti, dai militanti triestini di Avanguardia Nazionale e del VFS a quelli del vecchio FdG e del GUD, alla cerimonia indetta da Trieste Pro Patria perché noi non dimentichiamo, la nostra storia, la storia delle nostre terre e del nostro popolo, perché noi non siamo irredentisti solo il 10 febbraio. La nostra Italia è quella di Maria Pasquinelli!
Foibe, Norma Cossetto
Norma Cossetto viveva a Santa Domenica di Visinada, in Istria, e si stava laureando in lettere e filosofia all'università di Padova. Nell'estate 1943 – aveva da poco compiuto 24 anni - stava preparando la tesi di laurea, intitolata "Istria Rossa", riferita alla terra ricca di bauxite dell'Istria. Spesso girava in bicicletta per i paesi dell'Istria visitando municipi e canoniche alla ricerca di archivi che le consentissero di sviluppare la sua ricerca. Il 25 settembre 1943, diciassette giorni dopo la capitolazione dell'Italia e il disfacimento dell'esercito, un gruppo di partigiani titini, appoggiati dai partigiani comunisti italiani, approfittando dello sbandamento generale, irruppe in casa Cossetto, razziando ogni cosa. Il 26 settembre 1943 un partigiano di nome Giorgio si recò a casa dei Cossetto convocando Norma al Comando nell'ex caserma dei Carabinieri di Visignano. Norma Cossetto non farà più ritorno a casa: tra il primo e il quattro ottobre Norma, legata nuda ad un tavolo, fu sottoposta a sevizie e stuprata dai suoi carcerieri. La notte tra il 4 e 5 ottobre Norma e gli altri ventisei prigionieri, legati col fil di ferro, furono costretti a spostarsi a piedi fino a Villa Surani. Qui, ancora vivi, furono gettati nella foiba lì vicina. Norma e le altre donne prima di essere uccise furono nuovamente sottoposte a violenze.
Vertexteatro ricorda Norma Cossetto con un reading tratto da testi poetici di Alfonso Indelicato. Il progetto è nato tre anni orsono in occasione della giornata del ricordo.
Norma
Preghiera