D'Annunzio si ribellò alle decisioni della diplomazia, disconoscendo la validità degli accordi italo jugoslavi e continuando l'occupazione di Fiume.
Durante l’impresa, il comandante inquadrò alcuni dei suoi uomini in veloci unità navali.
Esse garantivano rifornimenti ai legionari di Ronchi (poi Ronchi dei Legionari) con azioni di razzia verso il naviglio straniero che incappava nelle loro incursioni. La fine cultura adriatica, vanto di D'Annunzio, battezzò questi uomini uscocchi, in ossequio ad una continuità ideale con i romantici corsari d'altri tempi.
Gli antichi predoni del mare, sono quindi riaffiorati redivivi nella storia dei primi decenni del secolo scorso, grazie al Vate che, con il loro nome, aveva individuato un gruppo di suoi fidati collaboratori, preposti ad intraprendere azioni piratesche per contribuire al non facile sostentamento di quanti si trovavano nell’estesa città marittima di Fiume, nel controverso periodo sfociato poi nell’istituzione della “Reggenza del Carnaro”.
Gli Uscocchi compirono operazioni alla disperata, con guizzi da mariuoli, secondo cioè la disinvolta naturalezza di atteggiamenti non estranei all’estemporaneità approfittatrice dei fatti, attraversati da una disinibita spregiudicatezza nel modificare i piani di viaggio di alcuni appetibili piroscafi in transito nelle acque adriatiche e saccheggiarli, anche portando in trofeo le medesime imbarcazioni dirottate a Fiume, convergendole nel porto a loro imposto, rispetto alla loro originaria destinazione.
Con diverse imprese, per lo più via mare, ma anche via terra, gli “uscocchi” di d’Annunzio hanno storicamente acquisito una dimensione propria, muovendosi in quello spartiacque temporale dove, da un lato, le vicende storiche ne avevano favorito il costituirsi e, dall’altro, un diverso corso degli eventi vedrà, invece, sulle stesse fare calare, in seguito, il sipario.
Non erano banditi, ma Robin Hood del tempo: toglievano ai ricchi per dare ai poveri , ma anche per gli altri beneficiari di tali avventurosi sistemi di approvvigionare una città intera, la località di Fiume occupata, appunto, evitandole la fame, riattualizzando, con stile, spesso in odore di caserma, in quanto con ancora l’eco di una guerra mondiale nello strascico dei vissuti del tempo, le ribalderie, cercando però di agire senza colpo ferire, di pirati anticamente in azione anche nel territorio conteso, per l’Italia, dal poeta-soldato, per tante operazioni fortunate, altrettante furono fallimentari.
Dentro i covi degli Uscocchi
sta la bora e ci dà posa.
Abbiam Cherso per mezzana,
abbiam Veglia per isposa, e la parentela ossosa
tutta a nozze di corsaro.
EIA, mirto del Quarnaro! Alalà!
Alessandro De Giuli