Sergio Ramelli (Clik immagine)" Il 13 marzo 1975, verso le ore 13, Ramelli Sergio residente a Milano in via Amadeo 40, stava appoggiando il motorino poco oltre l'angolo con via Paladini nei pressi della sua abitazione. Veniva aggredito da alcuni giovani armati di chiavi inglesi: il ragazzo, dopo aver tentato disperatamente di difendersi proteggendosi il capo con le mani ed urlando, veniva colpito più volte e lasciato a terra esamine. Alcuni passanti lo soccorrevano e veniva ricoverato al reparto Beretta del policlinico per trauma cranico ( più esattamente ampie fratture con affondamento di vasti frammenti ), ferita lacero contusa del cuoio capelluto e stato comatoso. Nelle settimane successive alternava a lunghi periodi di incoscienza brevi tratti di lucidità e decedeva il 29 aprile 1975" Sergio
Così con poche righe asettiche veniva riassunta la tragedia di Sergio Ramelli nella ricostruzione durante il processo agli assassini che avevano utilizzato per l'assassinio una chiave inglese "Hazet 36", un arnese lungo come un avambraccio.
Il "processo", Blocco Studentesco (Click immagine)Senza dubbio l'assassinio di Sergio fu uno dei più feroci compiuti in quegli anni: basti pensare che gli aggressori di Sergio ebbero bisogno di una "foto segnaletica" per riconoscere la loro vittima. Un particolare questo che sconvolge, che fa rabbrividire anche considerato come venne scattata quella foto. la foto fu scattata mentre Ramelli, circondato da una folla urlante di ringhiosi, veniva costretto con la forza a cancellare delle scritte nazionali dal muro della scuola, Istituto Tecnico Molinari di Milano ... e tutto fra l'indifferenza e l'ignavia di docenti e "tutori dell'ordine", previo democratico processo.
"In via Paladini aspettiamo una decina di minuti…poi vedo il ragazzo col motorino. Do’ una gomitata ad "Aldo" e attraversiamo la strada… Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese. Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino tra i piedi e inciampa. Io cado con lui, lo colpisco un’altra volta. Non so dove: al corpo, alle gambe. Non so". Questo è ciò che accadde la mattina del 13 marzo 1975 nel racconto è uno stralcio della deposizione avanti al Tribunale di Milano di uno degli esecutori materiali del delitto. Tragici i ricordi di quei giorni.. il funerale vietato, le scritte ignobili sui muri di Milano, lo sciacallaggio dopo la morte di Sergio con telefonate alla madre.... Su questo tragico evento è stato scritto un libro inchiesta veramente sconvolgente, con la raccolta di documenti ed articoli giornalistici che fanno rabbrividire, che rendono la verità in modo così crudo da essere vergognosamente impudiche. Sottolineiamo che nessuna querela è stata sporta contro gli autori da parte delle persone menzionate... c'è da riflettere.
Una storia senza un "perché"...
Milano 1975: la Milano delle industrie, della scalata socialista al potere, delle grandi manifestazioni di massa, ma anche la Milano degli scontri con la polizia, del sangue di Piazza Fontana, della caccia al fascista. In questo contesto nasce politicamente Sergio Ramelli e, come molti camerati di tutta Italia, subisce quotidianamente le angherie dell’antifascismo militante.
In questi anni è di "moda" la rivoluzione comunista: giovani borghesi ribelli, ma anche veri proletari, sognano le utopie maoiste e marxiste – leniniste; e lo fanno nel modo più duro: gli slogan intonati nelle piazze sono a senso unico ("camerata basco nero, il tuo posto è al cimitero" "Le sedi fasciste si chiudono col fuoco, con dentro i fascisti se no è troppo poco" "Fascisti carogne tornate nelle fogne"), l’elenco dei feriti, delle sedi politiche/sindacali/giovanili distrutte, delle abitazioni/tipografie/redazioni giornalistiche bruciate, degli agguati, dei processi ai giovani anticomunisti è interminabile; si arriva, quindi, ai sequestri di persona (Del Piccolo e Mitolo a Trento nel ’70 e Labate a Torino nel ’73); giungono messaggi e volantini raccapriccianti ("Per ora colpiamo e continueremo a colpire cose ma quando passeremo alle loro disgustose persone non sarà certo solo per massaggiarli i muscoli e le ossa" firmato Brigate Rosse), distruggendo contemporaneamente auto appartenenti a giovani missini; per arrivare, infine, già prima del fatidico 13 marzo, al materiale "uccidere un fascista non è reato". Nel frattempo a Milano, tutti i simpatizzanti, i militanti e i dirigenti del MSI milanese che venivano riconosciuti erano immediatamente intimiditi o aggrediti. Una situazione incandescente, se si pensa che, a differenza di Roma dove erano in auge le armi da fuoco, nel capoluogo lombardo si usavano spranghe e chiavi inglesi per lasciare segni indelebili (ai più fortunati) o per "far morire lentamente lo sprangato, farlo soffrire e farlo ricredere" (da una confessione di estremisti di sinistra al settimanale "Gente"); ed i responsabili non venivano mai identificati! E Sergio Ramelli viveva a Milano! Ritiratosi un mese prima dell’agguato dal I.T. "Molinari", a causa dell’emarginazione ricevuta per le sue idee e per le continue minacce (era stato addirittura pubblicamente processato nel corso di un’assemblea), si iscrive ad un istituto privato, ma continua coraggiosamente la sua militanza nel F.d.G. e nelle strade di Milano; purtroppo anche i "compagni" continuarono a tenerlo d’occhio! Infatti il 13.03.75 Sergio, sotto la sua abitazione in Via Amedeo, viene aggredito a colpi di spranga e chiave inglese da un gruppo di estremisti di sinistra. La sua difesa è vana, cade a terra sotto gli incessanti colpi dei suoi aggressori, che continuano a picchiarlo alla testa nonostante giaccia sul marciapiede privo di sensi. Portato in ospedale, dopo 47 giorni di agonia, morirà a 18 anni il 29 aprile.
E neppure durante i propri funerali ebbe pace: i giovani missini vorrebbero giungere in chiesa in corteo dietro la salma; la polizia li carica e saranno costretti a partire in corteo senza il carro funebre, che giungerà più tardi scortato dalla polizia a sirene spiegate (e le difficoltà continueranno pure per gli anni seguenti quando, per paura della ritorsione rossa o di cariche delle forze dell’ordine, i parroci non concedevano le chiese per la commemorazione). Per anni gli assassini di Sergio restarono impuniti; non ci furono arresti, la polizia non si muoveva, non aveva prove, taceva: il Paese era alla mercé di bande rosse a cui tutto era concesso; lo Stato aveva paura e fingeva di non vedere. I responsabili dell’infame aggressione verranno catturati solo dopo 10 anni, quando alcuni militanti dell’organizzazione extraparlamentare di sinistra "Prima Linea", pentitisi, decisero di parlare. Gli assassini erano militanti di "Avanguardia Operaia" appartenenti al servizio d’ordine della facoltà di Medicina (sapevano benissimo, dunque, la pericolosità di colpi inflitti alla testa!): Walter Cavallari, Claudio Colosio, Marco Costa, Giovanni Di Domenico, Claudio Scazza, Franco Castelli, Luigi Montinari, Giuseppe Ferrari Bravo, Antonio Belpiede, Gianmaria Costantino, Brunella Colombelli (indicò al gruppo luogo e ora in cui colpire Ramelli). Il 02.03.’89 la II Corte d’Assise d’Appello dichiara gli imputati (eccetto il Costantino, deceduto) colpevoli di omicidio volontario, riconoscendo, però, loro l’attenuante del concorso cosiddetto "anomalo" in omicidio e riducendo le pene (la maggiore è così di 11 anni e 4 mesi).
Del gruppo killer solo Costa e Ferrari Bravo tornarono in carcere, per poi essere affidati l’uno all’affidamento sociale e l’altro alla semilibertà. Gli altri evitarono la galera con condoni e regimi limitativi o sostitutivi. Ferrari Bravo è oggi giornalista del quotidiano di Rifondazione Comunista "Liberazione". Caludio Colosio fa il medico.
Caduto sul Campo dell'Onore